Archivio Autore

Colore giallo dorato, profumo di miele e frutta matura, sapore dolce e suadente. Da queste indicazioni saremmo portati a pensare di stare degustando un vino passito, magari del sud, con le uve che sono state accarezzate dal sole e baciate dalla brezza marina. Niente di più lontano dalla verità.

Il nostro vino proviene dal Canada, da uno dei vigneti più freddi del pianeta, lontano dal mare e dove i raggi del sole fanno fatica a scaldare la terra. Stiamo parlando dell’Ice Wine (vino del ghiaccio) e in questo articolo scopriremo tutti i segreti di questo nettare dorato e le sue caratteristiche che lo rendono un prodoto unico al mondo.

I segreti dell’ice wine

Ice Wine

L’Ice Wine trae il suo nome dalle condizioni climatiche particolari delle terre in cui viene prodotto…freddo, freddo, freddo. È proprio lui il magico alchimista che crea le caratteristiche uniche per dar vita a questi vini.

I grappoli d’uva maturi vengono lasciati sulla pianta fino all’arrivo dell’inverno dove la temperatura scende sotto lo zero e congela l’acqua all’interno degli acini. Il continuo processo di congelamento e scongelamento durante i mesi di gennaio e febbraio favorisce la disitradazione e la concentrazione degli zuccheri e delle sostanze nobili all’interno dell’acino in modo da ottenere un succo complesso, intenso e variegato.

Per mantenere queste condizioni anche durante la lavorazione, la vendemmia avviene di notte rigorosamente a mano, e la pigiatura del grappolo viene effettuata direttamente nella vigna e con temperature che oscillano intorno a -10 gradi. In questo modo l’acqua contenuta negli acini è cristallizata e non viene estratta e il succo che ne fuoriesce è una vera e propria concentrazione di sostanze aromatiche. Il tutto deve essere fatto molto velocemente per non dare il tempo all’acqua contenuta negli acini di scongelarsi.

Considerata l’alta concentrazione di zuccheri, la fermentazione del mosto avviene molto lentamente e può richiedere anche alcuni mesi per concludersi in maniera ottimale.

L’uva utilizzata nella produzione degli Ice Wine è generalmente a bacca bianca, Riesling in Germania e Vidal in Canada. Il Vidal in particolare è l’uva perfetta per questa tipologia di vino in quanto è resistente al freddo e la sua buccia spessa lo rende ideale per la sovrammaturazione in pianta. Ne esistono versioni anche a bacca rossa ma sono molto rari.

L’origine degli Ice Wine

Le origini degli Ice Wine non sono molto chiare, diverse leggende ne narrano i natali ma quasi sicuramente sono nati in Germania e sono frutto del caso.

La storia racconta che il 1794 fu un inverno particolarmente rigido e  nella città di Würzburg si congelarono tutti i grappoli sulle piante. I vignaioli, cercando comunque di produrre un pò di vino, pigiarono le poche uve rimaste e il mosto, una volta fermentato, produsse un vino eccezionale, l’antenato dell’Ice Wine.  In seguito la tecnica di produzione fu migliorata ed affinata anche se le particolari condizioni climatiche necessarie alla produzione del vino non si presentano tutti gli anni e quindi non è sempre possibile produrre gli Ice Wine. Problema che non interessa il Canada dove il clima rigido permette di avere una produzione costante e di alto livello, tanto da far diventare il Canada il maggior produttore al mondo.

Come degustare un ice wine

Gli Ice Wine permettono di avere una esperienza sensoriale unica che ammalia il palato e i sensi. Sono essenzialmente vini dolci anche se il segreto del loro successo è un perfetto equilibrio tra dolcezza ed acidità che giocano a rincorrersi e a pennellare le papille gustative con i loro colori caratteristici. Al naso siamo invasi da aromi dolcemente tropicali, mentre in bocca la dolcezza viene ripulita dall’acidità che prerara il palato al prossimo sorso.

Va servito freddo, intorno ai 10-12°C. Perfetto vino da dessert anche se regala sensazioni uniche se bevuto da solo come vino da meditazione.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

L’anidride solforosa (SO2) è un componente chimico tra i più utilizzati in enologia grazie alle sue proprietà stabilizzanti, antisettiche, antiossidanti, chiarificanti e conservanti. In pratica la possiamo definire il coltellino svizzero dell’enologia grazie ai suoi molteplici utilizzi.

Nonostante i notevoli effetti positivi, è un componente che va usato con estrema cautela, considerato gli effetti negativi che può avere sia sulla salute umana e sia sulle proprietà organolettiche del vino. Comunque, anche se se ne cerchi di moderare l’uso per avere vini più sani e per strizzare l’occhio all’anima biologica del vino, non si sono ancora trovati sostituti di questo componente in grado di avere tutti i suoi effetti positivi e i relativi pochi effetti negativi, tanto che in enologia l’utilizzo dell’anidride solforosa è considerato praticamente indispensabile.

Cosa è l’anidride solforosa

L’anidride solforosa, la cui formula chimica è SO2, è un gas incolore classificato come “solfuro” e codificato dall’Unione Europea con la sigla E220.

Nel vino la possiamo trovare presente sotto diverse forme sia libera (solforosa molecolare, ione bisolfito e ione solfito) e sia combinata con alcuni composti del vino. La somma delle due forme genera la solforosa totale.

L’uso dell’anidride solforosa in enologia

Anidride solforosa in cantina

L’anidride solforosa trova grande impiego in tutte le fasi della produzione del vino. Ricordandoci sempre che una parte di questo componente lo troveremo in forma libera e una parte in forma combinata con alcuni componenti del vino (acidi, zuccheri ed antociani). Gran parte dei seguenti effetti positivi saranno dovuti alla parte libera:

antisettico, antiossidante, stabilizzante, selettivo, solvente, chiarificante.

L’anidride solforosa ha una proprietà antisettica contro i batteri e contro i lieviti e ne evita il loro sviluppo incontrollato.

L’anidride solforosa previene l’ossidazione di alcuni componenti del vino come le sostanze coloranti, aromatiche, fenoliche e alcoliche. Il rischio di ossidazioni è molto alto in tutti i processi di produzione del vino sin da quando il grappolo viene colto dalla pianta e portato in cantina per le successive lavorazioni. La probabilità di ossidazione aumenta ogni volta che si compiono le dovute lavorazioni sia sul mosto e sia sul vino come passaggi, filtrazioni e travasi e anche durante il periodo di affinamento del vino.

L’attività stabilizzante dell’anidride solforosa è di vitale importanza per la corretta conservazione del vino. Viene usata anche sul mosto per ritardare la fermentazione e per chiarificare il prodotto facendo decadere le parti solide più pesanti.

L’anidride solforosa svolge anche un’azione selettiva nei confronti dei lieviti. Infatti alcuni lieviti che producono sostanze non utili alla qualità organolettica del vino sono molto sensibili ai suoi effetti mentre i lieviti “buoni” risultano più resistenti.

L’anidride solforosa è utile per estrarre alcune sostanze, come coloranti, tannini e acidi presenti nelle bucce dell’uva. Durante la macerazione del mosto queste sostanze si solubilizzano e rimangono in soluzione.

Molto utile è anche la sua azione chiarificante facendo precipitare le sostanze colloidali che si trovano nel mosto e nel vino.

Anche se viene ampiamente utilizzata in enologia, l’anidride solforosa va utilizzata e maneggiata con molta attenzione in quanto la sua inalazione in dosi eccessive può provocare irritazioni, emicranie e morte. Per questo motivo bisogna adottare tutte le precauzioni possibili quando viene usata nelle diverse fasi della produzione del vino.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

“…inizialmente non avevo nessuna intenzione di produrre vino. Lo reputavo noioso e banale. Dopo 10 anni ho capito che il mondo del vino presenta una varietà umana che è un porto di mare più movimentato della politica e del giornalismo”.

Con queste parole facciamo la conoscenza di Giovanni Negri e da subito veniamo rapiti dalla simpatia che sprigiona nel raccontare i suoi pensieri di vita e di vino. Lui stesso racconta che è approdato in questo mondo un pò per caso, quando si è ritrovato a gestire la proprietà di famiglia e ha dovuto indossare il cappello del viticoltore. In questo modo fortuito è iniziato il suo rapporto con il mondo enologico e con i caratteristici personaggi che lo popolano, ma è subito chiaro che sarà un legame scherzoso e sbarazzino. Come possiamo pretendere serietà da una persona che definisce gli enologi come quei personaggi che “arrivano in elicottero e già devi staccare il primo assegno, fanno 10 metri e ne devi staccare un altro…”.

Giovanni Negri e il suo modo di vedere il mondo del vino.

Probabilmente è proprio questo suo modo di vedere il vino con occhi diversi e di volerlo raccontare che piano piano l’ha portato verso il mondo della scrittura e ad incrociare ragionamenti di libri e di vini. Giovanni Negri afferma che “è bello mettere insieme un romanzo con i prodotti della terra”. Naturalmente il prodotto in questione si chiama vino e  dal felice connubio di penna e bicchiere sono nati diversi prodotti letterari tutti di grande successo: “Il romanzo del vino”, “Vinosofia”, “Vineide”, fino ad arrivare alla sua ultima fatica “Il sangue di Montalcino”.

La penna alcolica fa nascere in questo romanzo un commissario, italiano di frontiera,  introverso e sobrio che ritiene che il vino sia una cosa normale e che è chiamato ad occuparsi di un omicidio di un noto wine maker. Alla fine delle sue indagini scopre che un wine maker può essere un custode di segreti e di misteri, e che è una figura in bilico tra il rabdomante, l’alchimista, il sognatore e il confessore. Un po’ come i migliori vini che spesso sono il saggio blend di diversi vitigni. Un pò come lo stesso Giovanni Negri, scrittore, produttore e filosofo. Un simpatico personaggio che si diverte a giocare con i vini e con le parole, entrambi di livello straodinario come sicuramente può affermare chi ha bevuto i suoi vini e letto i suoi libri (magari unendo le due cose: leggere con un bicchiere in mano).

Giovanni Negri racconta che insieme ai libri sono nati i vini nella sua azienda Serradenari. Prodotti di tradizione a base di Nebbiolo affiancati da “due cose strane” per le Langhe, il Pinot Nero e lo Chardonnay. Possiamo sicuramente affermare che i suoi vini mettono a confronto due anime diverse del territorio.

I vini delle Langhe 

Il Nebbiolo, che incarna la vera essenza della terra di Langa, è un vino prodotto da uve che provengono dal cuore dei territori più vocati. Le Langhe sono un vero e proprio mostro geologico, un sedimentato secolare di forze interiori che possono essere addomesticate soltanto dal Nebbiolo, un mastino che riesce ad incanalare l’irruzione di forza che proviene dalla terra.

Lo Chardonnay è una novità per questa terra che per secoli ha ospitato solo Nebbiolo. Giovanni racconta che “…questo vino rispecchia il tipo di evoluzione e ricerca che stiamo cercando di fare e migliorare. È la cosa che mi ha fatto tornare orgoglioso della mia regione e che incarna pienamente il motto di Piemonte Felix”.

Serradenari e i suoi vini 

Chardonnay

Vino lumisoso e solare con delicate tonalità dorate. Ha al naso un profilo olfattivo serrato ancora da evolvere ma nella sua austerità si librano accenti di note scure e speziate. Esprime netto il richiamo alla terra con rimandi a sentori tropicali, di frutta secca e minerali. Il palato è un connubio fra grassezza (la morbidezza è figlia di 3 mesi di affinamento legno) e sapidità. Tono finale sapido che riporta al territorio.

Uno Chardonnay con queste caratteristiche può provenire solo da queste parti, dalla terra Langa dove ogni vino è una scommessa.

Chardonnay 2008

È costituito dall’85% di Chardonnay e dal 15% di un ingrediente misterioso diverso dallo Chardonnay. A Giovanni Negri piace giocare e torneremo a casa con il mistero irrisolto.

Calice giallo di grande impatto, riflessi oro verdi. Respiro potente e austero. Rilevante il legno ma dosato in maniera felice e splendidamente bilanciato da un sottofondo agrumato. Il profilo gusto-olfattivo è ben decifrabile con tratti maturi e improvvisi ritorni minerali più fini. Lo sviluppo al palato presenta alcune similitudini con il vino precedente, avvolgente e morbido, ma impiega più tempo a liberare la mineralità.

Nebbiolo

Bicchiere che incarna l’aspetto classico del nebbiolo nei primi anni di vita con povertà di colori e sfuggenti riflessi granati. Naso subito avvolgente con sensazione di mineralità ferrosa e tracce ematiche, il fruttato  è giocato su toni scuri dove appare chiaro il richiamo finale alla terra. In bocca appare subito gentile grazie ai tannini morbidi e vellutati, cosa molto difficile per un nebbiolo, e ci lascia con un finale quasi dolce che ricorda la componente fruttata.

Barolo 2006

Rosso scuro con tonalità granate animato da una consistenza interessante. Il naso, cupo e serrato, si apre lentamente facendoci scoprire un’elegante balsamicità, quasi mentolata. La bocca è bagnata da un tannino importante, muscolare ma non fastidioso, bilanciato da una bella spalla acida. Austero ed elegante.

Barolo 2005

Vino dalla complessità straordinaria con una componente balsamica arrichita da un bagaglio variegato di sentori. Nota di china che si impadronisce del naso. Un grande vino che regala emozioni anche nella prima fase della sua vita. Avvolgente.

Visita il sito dell’azienda Serradenari.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

Della Toffola, azienda leader nel campo dei macchinari enologici, è nata negli anni 60 producendo pigiatrici, filtri per il vino e presse verticali all’avanguardia e progettati con idee innovative.

L’azienda ha sempre puntato sulla sperimentazione continua fino a diventare oggi punto di riferimento per i filtri per il vino con l’introduzione della filtrazione tangenziale a membrane filtranti di tipo ceramico.

La filtrazione è un’attività fondamentale in enologia per ottenere un prodotto filtrato di alto livello. Per questo Della Toffola ha nei suoi cataloghi una grande varietà di filtri per il vino utilizzando tutte le tecniche di filtrazione per soddisfare tutte le esigenze dei Clienti:

Filtri tangenziali Filtri tangenziali con membrane Ceramiche Filtri tangenziali con membrane Spiralate Filtri a farina fossile con dischi orizzontali Filtri con scarico manuale ECP & FSB Filtri con scarico automatico NF Filtri rotativi sottovuoto Filtri con pompa di estrazione filtrato esterna Filtri con pompa di estrazione filtrato interna Filtri a piastre Filtri a cartoni Filtri pressa Filtri per il vino tangenziali

Filtri per il vino tangenziali

La filtrazione tangenziale è la tecnica di filtraggio più moderna e innovativa che garantisce un prodotto limpido e stabile con una sola operazione di lavorazione, indipendentemente dalla qualità del prodotto di partenza rispettando sempre le qualità organolettiche del vino stesso.

I filtri tangenziali con membrane ceramiche sono una vera innovazione nel mercato enologico che garantiscono:

alto livello della lavorazione, basso impatto ambientale, ampia longevità della macchina, alto livello di automazione, salvaguardia delle proprietà organolettiche del vino, vino pronto per essere imbottigliato.

I filtri tangenziali con membrane spiralate permettono di separare il liquido da solidi e micro-organismi mantenendo inalterata la qualità iniziale del prodotto e migliorando l’intensità degli aromi del vino.

Filtri a farina fossile con dischi orizzontali

Filtri a farina fossile

I filtri a farina fossile hanno ormai raggiunto un ottimo livello qualitativo essendo stati introdotti sul mercato da diverso tempo. In particolare i filtri a farina fossile con dischi orizzontali garantiscono sempre l’integrità del pannello anche se la filtrazione viene interrotta

I filtri con scarico manuale ECP & FSB sono facili da pulire, completamente costruiti in acciaio inox ed hanno un sistema di dosaggio con pompa a pistone regolabile.

I filtri con scarico automatico NF sono adatti per filtrare grandi volumi di prodotto con un basso livello di torbidità oppure per le operazioni finali di finitura. Grazie al modo in cui sono progettati, questi filtri permettono una manutenzione veloce ed economica.

Filtri rotativi sottovuoto

Filtri rotativi sottovuoto

I filtri rotativi sottovuoto sono molto versatili e lavorano con una filtrazione continua permessa da un raschiatore a lama che elimina gli scarti ad ogni giro.

I filtri con pompa di estrazione filtrato esterna lavorano con una tecnica unica di estrazione del liquido filtrato oltre ad avere installate in una sola macchina una gran quantità di pompe per soddisfare tutte le esigenze.

I filtri con pompa di estrazione filtrato interna, forniti di un tamburo con circuiti distinti per aria a prodotto finito, permettono la filtrazione continua per grandi quantità di prodotto e con grande concentrazione di solidi sospesi.

Filtri a piastre

Filtri per il vino Della Toffola

Nei filtri a piastre, costruiti in acciaio inox AISI 304 o AISI 316, la filtrazione avviene tramite telai, cartoni, tele e piastre. Questi filtri sono completi di molti accessori per le singole esigenze.

Visita il sito Della Toffola per ulteriori informazioni sulle attrezzature enologiche.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

Francia, XVII secolo.

In una fredda e buia cantina, Dom Perignon, monaco benedettino e mastro cantiniere dell’abbazia di Hautvillers, finalmente assapora, apparentemente soddisfatto, il frutto del suo lavoro. Sembra ieri la prima volta che ha piantato nuove varietà di uve in vigna, che ha sperimentato nuove tecniche in cantina, che ha iniziato a mescolare uve soltanto al fine di raggiungere la perfezione.

Il lavoro è stato duro, tanti i fallimenti, tanti i ripensamenti. Eppure, adesso, seduto sul piccolo sgabello di legno, con le ombre che danzano sulle pareti animate dalla debole fiamma di una candela e con il sapore intenso del vino che ancora rimane in bocca, è convinto che ne sia valsa la pena e che il frutto del suo lavoro verrà un giorno ricordato. 

New York, XXI secolo.

Champagne Armand de Brignac.

In una festa in un ricco attico, con le luci della notte che animano le strade, personaggi dello spettacolo raccontano le loro ultime avventure sul set, i loro prossimi film da girare e si scambiano complimenti per le loro recenti apparizioni sullo schermo. Tra un sorriso e uno sguardo ammiccante, intravediamo, immersa nel ghiaccio, una bottiglia di champagne. È seminascosta, ma ne immaginiamo l’esclusività da alcuni particolari che sicuramente non passano inosservati. La bottiglia è completamente ricoperta da una lamina d’oro, decorata con quattro etichette di peltro che, come scopriremo in seguito, sono state attaccate a mano. Ben visibile e di notevole impatto è il logo della maison, un “Ace of Spade”, che simboleggia le origini regali della regione dello Champagne.

Champagne Armand de Brignac.

La preziosa bottiglia è l’Armand de Brignac, brand di lusso creato dal celebre produttore Cattier per contrastare il predomino di Cristal e Dom Perignon nelle serate mondane delle “celebrities”. La strada della notorietà è iniziata grazie ad un video del rapper americano Jay-Z dove compare per la prima volta la dorata bottiglia. Da quel momento le star del jet-set hanno fatto a gara per comparire in compagnia delle lussuose bollicine. David Beckham’s, Justin Timberlake, Will Smith, Leonardo di Caprio, George Clooney sono soltanto alcuni dei testimonial inconsapevoli dell’Armand de Brignac che non ha avuto bisogno di allestire ulteriori campagne pubblicitarie considerato lo spessore dei suoi estimatori.

Lo champagne secondo Cattier

Cattier produce vino dal lontano 1793 e possiede un fantastico vigneto nel cuore nobile della Champagne. Ma cosa rende unico l’Armand de Brignac da altri prodotti della maison?

Naturalmente viene prodotto secondo i secolari e tradizionali metodi che permettono di avere un prodotto di altissima qualità. Il vino base proviene esclusivamente dal cuore del mosto della prima spremitura, vero e proprio concentrato di aromi e profumi. Vino che in seguito viene riposto ad affinare in botti di quercia per nove mesi. Inoltre, invece di utilizzare vino di una sola annata, si è puntato a creare un blend di lusso di annate eccellenti, ognuna con le proprie caratteristiche distintive. Come ama raccontare Jean-Jacques Cattier, “uno champagne millesimato è come un violinista che suona da solo; uno champagne blend di diverse annate è una intera orchestra che suona all’unisono”.

Il concetto su cui nasce l’Armand de Brignac è molto lineare, “produrre il miglior champagne e presentarlo nel migliore dei modi”. L’idea suona semplice ma il risultato è stato fantastico.

Il prezzo? Ovviamente molto alto, ma un gentiluomo non parla mai di soldi.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

1992, Gran Premio di Spagna

“…finalmente sono il pilota di punta della Ferrari, ho tutti gli occhi addosso. Piove, il circuito è un lago, sono partito ottavo.

Devo recuperare. 

I rombi dei motori mi giungono ovattati nel casco, rivoli di pioggia sulla visiera si divertono a distorcere la realtà. Vedo l’auto di Berger sullo specchietto destro, ci tocchiamo e scivolo in fondo alla classifica.

Devo recuperare. 

In curva la ruota anteriore impatta con quella di Mika Häkkinen, perdo il controllo e finisco in testacoda.

Devo recuperare. 

La pioggia aumenta. Le macchine che mi precedono alzano nuvole di acqua e schiaccio l’accelleratore… 

…alzo la coppa al cielo, sono sul podio. Le braccia mi tremano per la stanchezza. La pioggia fredda continua a bagnarmi il viso, e le gocce che mi scivolano sulla guange sono un sollievo. Sono sul podio.”

Jean Alesi e il suo vino

Jean Alesi

Tra gli abbinamenti insoliti ma sicuramente molto ricercati sta prendendo piede quello tra il vino e i personaggi famosi. Forse spinti dall’effetto moda (fare vino è trendy) o forse spinti da una passione nascosta che li ha sempre visti dall’altro lato della barricata (o meglio della barrique), molti personaggi famosi hanno acquistato una vigna e sono diventati dei “vigneron”. Magari sono alla fine della loro carriera e sono alla ricerca di un luogo magico dove potersi finalmente riposare, oppure sono così abituati a firmare autografi che per non perdere l’allenamento decidono di apporre la firma sull’etichetta della loro linea di bottiglie.

Tra i tanti vip che hanno intrapreso la strada alcolica, spicca fra tutti Jean Alesi. Ex pilota di Formula 1, ha guidato il cavallino rampante per diversi campionati ed è ricordato per essere stato una figura molta amata dai tifosi. Fama guadagnata sui circuiti per la sua bravura e anche al di fuori della pista per a sua eleganza e modi di fare. Elegante come il vino che porta la sua firma.

Ci troviamo in Francia nel cuore della Cotes du Rhone, zona famosa in tutto il mondo per i suoi vini rossi a base di Syrah potenti, strutturati e ricchi di sostanza. Qualsiasi produttore che in qualche parte del mondo decide di creare vini con questo vitigno, sicuramente non può fare a meno di prendere la Valle del Rodano come punto di riferimento. Un vero e proprio modello da studiare, da imitare ma difficilmente da eguagliare.

Clos de l’Hermitage

Clos de l’Hermitage

Il vigneto è stato acquistato da Jean nel 1995 quando cercava un posto tranquillo dove trasferirsi con la famiglia e subito si è innamorato di questa vigna di 4 ettari, circondata dal classico muretto di pietra tipico della zona, il “clos”. Lo stesso Alesi ricorda che il posto era in cattivo stato, abbandonato per più di 30 anni e con cespugli ovunque; ma gli occhi attenti ed esperti di un vigneron suo amico lo hanno convinto ad acquistarlo, sicuri del fatto che vecchie vigne in questo luogo magico non potessero che produrre un vino di altissima qualità. Ci sono voluti ben quattro anni di lavoro ma alla fine gli sforzi sono stati ripagati e hanno dato vita al Clos de l’Hermitage, oggi considerato uno dei migliori vini della Cotes du Rhones.

Il Clos de l’Hermitage viene prodotto dal blend di tre uve: Grenache, Syrah e Mourvedre, ognuna che apporta al vino le sue caratteristiche tipiche, particolari e molto riconoscibili. Il Grenache, conosciuto in Sardegna con il nome di Cannonau, regala corpo, struttura e note intense di frutti rossi e pepe. Il Syrah dona invece eleganza e rotondità. Infine il Mourvedre tinge il vino con pennellate variegate e complesse di aromi terziari. In bottiglia abbiamo quindi un vino di classe, di grande potenziale e capace di evolvere nel tempo in maniera sublime.

Fantastica anche l’etichetta, semplice e diretta che riporta la firma del pilota sul lato, quasi nascosta. È opera di un designer giapponese, e non poteva essere altrimenti considerando che la moglie di Alesi è una famosa e stupenda attrice del Sol Levante.

2010, Cotes du Rhone

“…sono seduto davanti al camino acceso. Fuori piove e l’odore tipico delle giornate di pioggia entra dalla finestra aperta. Porto il bicchiere alla bocca, i sapori maturi del vino invadono la mente e mi riportano indietro nel tempo quando correvo nei circuiti di tutto il modo. Sono Jean Alesi ”.

Per maggiori informazioni visita il sito di Clos de l’Hermitage.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

Cognac, Armagnac, Grappa, Whisky, Brandy, Vodka, Sakè, Acquavite, Calvados, Rum, Tequila. Quante volte abbiamo letto questi nomi nei nostri cocktail preferiti, quante volte siamo stati ammaliati dai loro suadenti sapori e quante volte ci siamo chiesti quali fossero le loro vere differenze, la loro origine e la magia che li ha creati?

Un invisibile file rouge di alchimia li collega: sono tutti distillati. Sono cioè prodotti con quel procedimento fisico, chiamato distillazione, che permette di separare i componenti volatili di un fermentato in base al loro diverso punto di ebollizione. A prima vista sembra una storia complicata, ma è sufficiente un pizzico di curiosità per scoprire tutti i segreti che trasformano vino, cereali, mele, vinacce e patate in uno di questi meravigliosi “liquidi alcolici” che tanto amiamo.

La pittoresca città di Cognac.

La città di Cognac

Iniziamo il nostro viaggio nella terra di Asterix, da quello che viene definito il principe dei distillati: il Cognac. Stiamo parlando di un distillato di vino, prodotto esclusivamente in Francia intorno alla pittoresca città che porta il suo nome a nord di Bordeaux. La graziosa città è placidamente attraversata dalla Charente, un piccolo fiume definito dal Re di Francia Francesco I: “il più bello del mio regno”.

Passeggiando per le vie di Cognac siamo subito accolti da un profumo ammaliante che ci riporta la mente a tempi lontani. Si tratta delle “part des anges” (parte degli angeli), ossia della piccola quantitá di alcol che evapora da ciascuna botte in cui é messo ad invecchiare il cognac, ed è considerata cosí preziosa che viene data in omaggio ai messaggeri di Dio. Considerando che l’origine del cognac risale al seicento e che ogni anno circa il 3% del distillato evapora, é possibile fare un rapido conto di quanto alcol é finito su nel cielo ed é anche spiegato il motivo per cui gli angeli sono sempre contenti e li troviamo tutto il giorno a suonare la trombetta.

Il cognac é considerato dai suoi estimatori un distillato che regala sensazioni indescrivibili e i fattori che danno vita a questo magnifico nettare ambrato sono del tutto unici:

un microclima perfetto influenzato dalla vicinanza dell’oceano, terreni dalla distinta personalità che infondono un complesso ventaglio di aromi, una tecnica di distillazione basata su una tradizione secolare di esperienza.  La storia del cognac.

Il nostro viaggio alla scoperta del Cognac inizia in vigna. L’uva in gran parte utilizzata è l’Ugni Blanc, che produce un vino semplice ma con due essenziali caratteristiche ideali per la distillazione: un alto livello di acidità e un basso tenore alcolico. La distillazione viene effettuata con lo Charentais, il tipico alambicco in rame a forma di cipolla che risale al XV secolo, e si compone essenzialmente di due fasi (da qui il nome di “doppia distillazione”) che permettono di ottenere prodotti di notevole eleganza.

La distillazione

La doppia distillazione ha origine da una leggenda che narra che nel XVI secolo Jacques de la Croix-Maron, un cavaliere appassionato di viticoltura e alchimia, volesse ricavare da questo vino un’acquavite di altissima qualità. Dopo molti tentativi andati a vuoto, gli apparve in sogno Satana che tentava di prendere l’anima del cavaliere facendolo bollire. La prima volta il diavolo non ebbe successo ma alla seconda ebollizione il tentativo stava andando a buon fine. A questo punto il cavaliere si svegliò dall’incubo e utilizzò il suggerimento del diavolo per distillare due volte il vino e ottenere il tanto desiderato liquore.

Nella prima fase il vino viene immesso nella caldaia, viene scaldato e i vapori danno vita ad un liquido denso e lattigginoso con un basso tenore alcolico. Nella seconda distillazione, dal prodotto ottenuto precedentemente si seleziona soltanto il prezioso cuore con un tenore alcolico tra 65% e 72%. Questa seconda fase, molto delicata, è di vitale importanza per ottenere un prodotto di alto livello e il successo del ciclo di distillazione risiede in una attenta e costante supervisione del mastro distillatore, capace con la sua esperienza di infondere al Cognac la propria impronta caratteristica.

L’invecchiamento

A questo punto inizia l’importante fase dell’invecchiamento. Lo spirito che diventerà cognac viene messo in botti di rovere francese che trasferiscono lentamente al distillato i propri aromi, il caratteristico colore ambrato e rendono più morbido e rotondo il distillato. Dopo la permanenza nelle botti, che può durare anche decine di anni, il cognac viene travasato in damigiane di vetro e messo a riposare in speciali locali chiamati “paradis”, che vanno a braccetto con le “part des anges” di cui abbiamo prima accennato.

Siamo ormai pronti all’ultima fase della produzione, la miscelazione (assemblage). Questa operazione molto delicata viene effettuata esclusivamente dal maestro di cantina e consiste nel miscelare cognac di annate diverse con purissima acqua di sorgente per ottenre un prodotto finale di eccelsa qualità.

Enoturismo a Cognac.

La zona di Cognac è perfetta per una vacanza enogastronomica e se vi recate in questa zona della Francia sicuramente non potete perdervi una visita ad una delle famose distillerie che da secoli producono il distillato francese più conosciuto al mondo. Non avete che l’imbarazzo della scelta: Camus, Hennessy, Martell, Rèmy-Martin e Courvoisier e sarà un piacere passare una giornata nelle varie cantine che propongono visite guidate in cui vengono spiegati tutti (o quasi) i segreti del cognac.

Come si degusta il cognac.

Come degustare il cognac

Per finire forniamo alcuni consigli per degustare al meglio il cognac. Fondamentale è il calice da degustazione. Per il cognac il bicchiere più indicato è quello a tulipano con la pancia ridotta e il restringimento verso l’alto utile per convogliare i profumi verso il naso. Questo bicchiere è da preferire al romantico ed evocativo baloon, calice con stelo ridotto e pancia molto ampia, in quanto quest’ultimo esalta troppo l’alcol a discapito degli altri aromi. Gli intenditori preferiscono berlo liscio ad una temperatura di circa 20 gradi. La liberazione dei preziosi aromi viene aiutata esclusivamente con il calore della mano.

Numerosi sono i cocktail che prevedono il cognac cone ingrediente principale: Sidecar, Bloody Passion, Bonaparte, Cognac Highball, French Bite, High Moon e tanti altri…ma questa è un’altra storia.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

La storia dell’azienda Diemme Enologia inizia nei lontani anni 20 con la progettazione e produzione di macchinari enologici come le presse in fusione, presse idrauliche verticali e torchi continui a due eliche. Il nome stesso dell’azienda (Diemme) deriva dalle iniziali dei due fondatori Deggiovanni e Melandri.

Con il passare del tempo l’azienda si occupa della progettazione e produzione di macchinari enologici nelle varie fasi della vinificazione, sviluppando tecnologie all’avanguardia: Florsvin-Enotork (il gruppo di pressatura uve in continuo), le Velocipresse e le presse per le distillerie che vengono vendute in tutto il mondo alle maggiori cantine.

Gli anni 70 vedono un grande fermento del settore enologico. La Diemme introduce nel mercato nuove attrezzature enologiche per soddisfare tutte le esigenze dei clienti in ogni fase della produzione del vino:

filtrazione, termo-vinificazione, flottazione, diraspatura.

Il settore dei filtri per il vino diventa così strategico da fondare, accanto alla Diemme SpA Costruzioni Enolmeccaniche,  la Filtri Diemme SpA che si occupa esclusivamente della produzione di filtri pressa a piastre per il settore enologico.

Negli anni 80 le due aziende si fondono nela DIEMME Spa e nascono due rami d’azienda distinti: la Divisione Enologia e la Divisione Filtri che si specializzano ciascuna nei settori specifici di competenza.

Nel 2011 la Divisione Filtri viene ceduta al gruppo BILFINGER BERGER mentre la DIEMME SpA diventa la DIEMME Enologia SpA e continua la sua strada verso l’innovazione continua e la specializzazione nel campo delle attrezzature per enologia.

I prodotti di DIEMME Enologia

DIEMME Enologia ha una vasta gamma di prodotti per l’enologia che seguono il cliente nelle varie fasi di produzione del vino:

Ricevimento / Selezione Diraspatura Pompe Pressatura Vinificazione Filtrazione Dealcolazione Diraspatrici Pigiatrici Kappa Diemme

Diraspatrici DIEMME Enologia

La Diemme Enologia ha una grande varietà di macchine diraspatrici e pigiatrici, in particolare la diraspatrice pigiatrice Kappa disponibile in vari modelli per soddisfare tutte le esigenze.

La diraspatrice pigiatrice Kappa, costruita in acciao inox AISI 304, viene utilizzata per la lavorazione dell’uva vendemmiata a mano o meccanicamente.

È costituita da due unità distinte: la diraspatrice, formata da una gabbia  con fori imbutiti al cui interno ruota il battitore. e la pigiatrice costituita da due rulli di pigiatura in gomma che garantiscono una perfetta pigiatura degli acini.

Filtri ortogonali Microflex

Filtri DIEMME Enologia

I filtri Microflex sono impianti di filtrazione ortogonale a cartuccia per la filtrazione di alto livello qualitativo di mosti e vini. Caratteristica fondamentale di questi filtri per il vino è l’alto livello di automazione gestito dal software proprietario Intelliflex, che è in grado di tenere sotto controllo tutto il processo di filtrazione del vino monitorando i parametri di interesse.

I filtri Microflex possono essere usati per il filtraggio di vino bianco, rosso, spumante e mosto.

Per maggiori informazioni visita il sito della Diemme Enologia.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

Iniziamo con questo articolo un viaggio (speriamo lungo e piacevole) nei vini e nei personaggi che sono diventati icone incontrastate del mondo enologico. Veri e propri miti, amati, osannati, imitati e immancabili nelle cantine dei veri intenditori che per averli sono disposti a rimandare una vacanza o l’acquisto dell’auto nuova.

Oggi andremo nella terra di Dante per immergerci nel mito del Sassicaia, mito nato in Toscana e che ha saputo affermarsi con decisione in tutto il mondo. A sentirne parlare oggi, sembra un vino che esiste da sempre e che nei secoli ha lentamente affinato i suoi lineamenti fino a raggiungere le punte di eccellenza che conosciamo. Anche il sigillo medievale di famiglia raffigurato sull’etichetta ci porta la mente ad un antico passato popolato di dame e cavalieri. Ma la realtà è ben diversa e restiamo meravigliati quando, raccogliendo gli indizi, scopriamo che il Sassicaia è un vino nato soltanto negli anni sessanta. Meraviglia basata sul fatto che nell’antico mondo del vino cinquanta anni sono considerati una giovane età.

La storia e il sogno del Sassicaia.

I vigneti del Sassicaia

Leggendo la storia del Sassicaia scopriamo che è un vino che rompe i soliti canoni pur essendo immerso in un mondo ricco di storia e con una lunga tradizione vinicola. Gli Incisa della Rocchetta, produttori del Sassicaia, sono infatti una nobile famiglia protagonista delle vicende medioevali di una terra, la Toscana, nel cui petto pulsa da sempre il Chianti. La rottura con la tradizione è passata attraverso diversi elementi:

l’utilizzo del Cabernet in una terra legata indissolubilmente al Sangiovese, l’invecchiamento del vino in piccole barriques francesi in cantine che avevano visto per secoli soltanto grosse botti. 

Naturalmente per dare vita ad un progetto del genere c’è bisogno di coraggio e di una mente visionaria lanciata verso il futuro. Infatti il mito Sassicaia parte da un sogno e da un’intuizione di Mario ­­­­­­­­­­­­­­­­­­Incisa della Rocchetta. Il sogno era di creare in Italia un vino importante prendendo come riferimento i grandi vini di Bordeaux. L’intuizione è stata la scoperta che la Tenuta San Guido, terra d’elezione del Sassicaia, era molto simile in quanto a conformazione dei suoli con una famosa zona vinicola bordolese, le Graves. Questa particolare conformazione del terroir, ricca di ciottoli e sassi, ricopre un ruolo così importante da dare il nome al vino stesso: Sassicaia.

Come spesso accade i profeti non vengono ascoltati in casa loro e inizialmente, siamo nel 1968, i giudizi non sono positivi. Un po’ per amore della tradizione (meglio noto come sciocco attaccamento al passato) e un po’ perchè non si era capito il segreto di questi vini: il Tempo. È proprio l’arcano traghettatore che con i suoi magici effetti muta e migliora le caratteristiche del vino.

L’origine della qualità del Sassicaia.

Ben presto il mondo scopre l’alta qualità nascosta nel Sassicaia e non poteva essere altrimenti visto le basi su cui elegantemente poggia. Il terreno ha delle conformazioni uniche in Italia e per raccogliere il meglio che nasconde, i vigneti sono piantati in posizioni differenti.

Il Sassicaia trae infatti la sua forza dal provenire da vigneti che dalle colline degradano dolcemente verso il mare, prendendo da ciascuno le proprie caratteristiche peculiari. La vicinanza al mare con le sue escursioni termiche e la leggera brezza marina è proprio una delle caratteristicche che si imprimono in ogni bottiglia. Il tutto viene curato con la sapiente mano dell’uomo che si è preoccupato di donargli un sistema di allevamento particolare che unito alle basse rese regala un prodotto ricco e strutturato.

La Cantina.

La cantina del Sassicaia

La cantina del Sassicaia è stata per molto tempo quella di Castiglioncello di Bolgheri in quanto i vigneti erano tutti situati nei pressi del castello. In seguito con l’espandersi dei vigneti anche la cantina doveva subire un ammodernamento e fu spostata vicino all’ Oratorio di San Guido.

La nuova cantina, posta vicino alla cantina di vinificazione è una vera e propria opera d’arte dell’architetto Agnese Mazzei ed è proprio qui che il Sassicaia riposa prima di arrivare sulle nostre tavole.

Infine concludiamo il nostro viaggio nello Spazio. Qualche anno fa un astronauta italiano ha partecipato ad una missione imbarcando sull’astronave alcuni vitigni presi dalla terra del Sassicaia. I vitigni verranno ripiantati una volta terminata la missione per esaminare gli influssi spaziali sulla vite. Possiamo con orgoglio affermare di essere gli unici ad avere un vino “stellare”.

Visita il sito della Tenuta San Guido.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

L’azienda vinicola Castello di Cigognola si trova nel cuore dell’Oltrepò Pavese, un territorio che ricorda subito una forma di grappolo. Questa è la prima idea che ci viene in mente osservando su una cartina geografica questa parte d’Italia bagnata dal Po, una terra di confine da sempre considerata il serbatoio enologico per l’assetata Milano. La Milano “da bere” ma che si è spesso accontentata di vini beverini, senza troppe pretese nella qualità e nel prezzo.

Fortunatamente le cose stanno cambiando e dalla terra-grappolo stanno emergendo realtà dalle produzioni davvero interessanti. Una fra queste è il Castello di Cigognola che si presenta con un pedigree di tutto rispetto: una storia secolare, un territorio dal microclima eccezionale e un enologo di fama mondiale.

Castello di Cigognola: la storia

Castello di Cigognola

La nostra storia inizia nel 1212, anno di costruzione del castello che ancora oggi domina le terre circostanti con la sua maestosa torre ornata da merli ghibellini. Fin da subito vigneti e castello si attraggono iniziando a vivere in una simbiosi perfetta e l’uva diventa parte integrante della vita e delle vicende del luogo.

In alcuni manoscritti del ‘400 il vino prodotto nei territori circostanti viene definito “vino bono puro et neto” e i sussurri dell’antico ancora riecheggiano in ogni bottiglia. La parola d’ordine è tradizione e il legame con il passato si riflette in ognuno dei suoi vini: nobili, di carattere e legati indissolubilmente al territorio.

A Castello di Cigognola la tradizione è una vera e propria passione che si respira nell’aria e nei calici. Anche la scelta dei vitigni utilizzati non è lasciata al caso ma rispecchia in pieno la filosofia dell’Azienda. Barbera e Croatina sono le regine di queste colline irregolari che firmano con una calligrafia inconfondibile l’unicità e la bellezza della zona. Le esposizioni variabili dei diversi vigneti, oltre a saziarci gli occhi per lo scenario multicolore che offrono, sono un volano per la qualità indiscutibile. Ogni anno, infatti, è possibile scegliere i vigneti che hanno meglio interpretato la stagione climatica e ottenere così vini sempre di alto livello.

In ciascuna bottiglia del Castello di Cigognola ritroviamo quindi la tipicità del territorio e delle uve utilizzate. Il terreno argilloso ricco di calcio dona un’alta acidità al vino che è anche una delle caratteristiche tipiche della Barbera, mentre le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte regalo ai vini aromi delicati ed ampi. Dal connubio vitignio-territorio nascono così dei vini da grande invecchiamento e capaci di reggere con fierezza i colpi del tempo.

Infine, da non dimenticare, è la mano dell’uomo. Mano esperta e delicata che parte dalla raccolta delle uve, rigorosamente eseguita a mano, fino al sapiente lavoro in cantina dove le uve vengono lavorate appena dopo la raccolta. Per ottenere vini dai tannini eleganti, viene effettuata la diraspatura, una pigiatura soffice mentre le moderne vasche di fermentazione a temperatura controllata permettono di evitare eccessivi rimontaggi.

Castello di Cigognola e Riccardo Cotarella 

Il nocchiero di questo lungo e meticoloso viaggio è Riccardo Cotarella, uno tra i più conosciuti ed apprezzati wine maker del nostro paese che con la sua bacchetta magica riesce a tramutare in perfetti purosangue ogni grappolo d’uva che ha la fortuna di incrociare i suoi passi. Fin da subito il famoso enologo ha dettato le sue regole:

basse rese, meticoloso lavoro in cantina, affinamento il barrique di rovere.  I vini del Castello di Cigognola

Andiamo ora a scoprire i due fuoriclasse del Castello di Cigognola: Poggio della Maga e Dodicidodici.

Poggio della Maga

Bel colore rosso rubino, intenso e concentrato. Al naso ci accoglie una nota balsamica che si trasforma velocemente in sensazioni aeree ed eleganti. In bocca abbiamo un’esplosione di sapori, irruente ma allo stesso tempo equilibrato. Il buon livello di acidità ben supportato da un’avvolgente morbidezza ci porta la mente ad un potenziale evolutivo straordinario. Un vero cavallo di razza, convincente.

Dodocidodici

Rosso rubino con allegre sfumature porpora. All’olfatto siamo invasi da una tonalità scura di sottobosco con pennellate speziate. Al palato siamo accolti da un principio fresco (classico del Barbera) subito accompagnato da un minuetto sapido e ricco di polpa. Vino ricco di sfumature. Perfetto con carni e salumi.

www.castellodicigognola.it

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+