Archivio per la Categoria ‘Degustazioni’ Category

Strada del Vino Cannonau

La Strada del Vino Cannonau si snoda nelle Provincie di Nuoro ed Ogliastra dove si alternano scenari incantevoli di grande pregio naturalistico che spaziano dalla montagna al mare, a paesaggi agricoli modellati dall’attività umana, in un contesto ricco di emergenze archeologiche e testimonianze di una storia millenaria, siti nuragici, tombe dei giganti e domus de Janas. Il profondo legame con il territorio ha radici molto antiche, come testimoniano numerosi reperti rinvenuti nei diversi siti archeologici.

La Strada del Vino Cannonau prende il nome dal vino più conosciuto e rinomato della tradizione enologica sarda e dell’omonimo vitigno, diffuso in tutta la Sardegna, ma con una grande prevalenza nel Nuorese e nell’Ogliastra, aree in cui le comunità locali attribuiscono al vino Cannonau grande importanza economica, storica e culturale. I risultati ottenuti si devono al sapiente lavoro delle generazioni di vignaioli che si sono susseguiti negli anni e che hanno selezionato e propagato sino ai giorni nostri questo vitigno, apprezzandone sia la vocazione naturale che la capacità di abbinarsi con alcune pietanze tipiche della gastronomia locale.

La coltivazione del Cannonau interessa una costellazione di piccoli produttori che presidiano, con i loro vigneti, un paesaggio collinare e montano ricco di biodiversità.

Strada del Vino Cannonau: la Sardegna Ancestrale

Nuraghi

Con questo itinerario andiamo a scoprire le radici antiche e misteriose della Sardegna. Partiamo da Orosei con la sua bella campagna disseminata di nuraghi e con il suo centro storico ricco di chiese spagnoleggianti. Quindi Oliena, uno dei paesi più caratteristici dell’isola, nei cui dintorni si puó visitare il villaggio nuragico di Tiscali, costituito da capanne di pietra e fango, e le famose fonti carsiche di Su Gologone. Orgosolo è, invece, un grazioso paese rinomato per i caratteristici murales che adornano le case mentre uscendo dal centro abitato ci imbattiamo in una miriade di luoghi interessanti: le Domus de Janas, necropoli composte da tombe scavate nel granito, i Menhir del Neolitico, le Tombe dei giganti e la Gola di Gorroppu, un magnifico canyon tra i più profondi d’Europa. Infine Mamoiada, il vero e proprio cuore pulsante della Barbagia, conosciuto per il suo carnevale popolato dalle ancestrali maschere dei “Mamuthones” e degli “Issohadores”.

Orosei

Orosei

Orosei, capoluogo storico della Baronia Meridionale, si trova sulla costa orientale dell’isola lungo il fiume Cedrino in uno scorcio particolarmente suggestivo. L’area più interna ricorda il fascino tipico dell’antica Sardegna con la bellissima campagna coltivata ad oliveti disseminata di nuraghi e chiesette. Avvicinandosi verso la costa scopriamo un litorale ammantato di magia, dove un trionfo di spiagge bianche, alternate a tratti di scogliera, fanno da anfiteatro ad un mare cristallino che si insinua nelle grotte scavate dal vento tra cui perdere la Grotta del bue marino.

Non per nulla questo tratto di costa é stato inserito tra le dieci spiagge più belle d’Italia.

Inoltrandoci nel centro storico di Orosei scopriamo un cuore urbano antico dove, passeggiando attraverso vicoli suggestivi, scalette e stretti sottopassaggi rimaniamo estasiate dalle chiese spagnoleggianti con le loro cupolette e campanili, le prigioni e la torre pisana, antiche testimonianze dei periodi più importanti della sua storia.

Sicuramente da non perdere la bella chiesa medioevale di Sant’Antonio Abate nel cui suggestivo piazzale si svolge (la sera del 16 gennaio) la festa di Sant’Antonio Abate con gigantesco falò, mentre all’interno si trova una statua lignea di Sant’Antonio risalente al Quattrocento.

Oliena

Nepente

Oliena, situata alle falde del Supramonte, è uno dei paesi più caratteristici dell’isola. I dintorni del paese sono conosciuti per la loro natura selvaggia e le molte attrattive storiche e paesaggistiche come il villaggio nuragico di Tiscali, costituito da capanne di pietra e fango, e le famose fonti carsiche di Su Gologone. Oliena è nota per il Nepente, un rosso forte decantato da Gabriele D’Annunzio che chiamò così il Cannonau locale. Il centro del paese, da visitare a piedi, è ricco di storia. Passeggiando sulla tipica pavimentazione in ciotoli di fiume si arriva alla chiesetta di Santa Croce che, con il suo tipico campanile “a tridente”, è una delle più caratteristiche di Oliena.

Orgosolo

Domus de Janas

Orgosolo è un grazioso paese nel cuore della Barbagia rinomato per i caratteristici murales che adornano le case e per il patrimonio archeologico di cui la zona è ricca.

Il primo murale fu eseguito nel 1969 e da allora ne sono stati dipinti piú di 200, passando da quelli a scopo contestatorio fino a quelli che immortalano scene di vita quotidiana. Uno dei più famosi murales a Orgosolo è “l’indiano“, che si trova proprio all’ingresso della città, a denuncia dell’oppressione dei bianchi nei confronti dei pellerossa.

Uscendo dal paese ci imbattiamo in una miriade di luoghi interessanti: le Domus de Janas, necropoli composte da tombe di età prenuragica scavate nel granito, i Menhir del Neolitico, le Tombe dei giganti, le piú recenti chiese gotico-catalane fino ad inoltrarci nella Gola di Gorroppu, un magnifico canyon tra i più profondi d’Europa.

Mamoiada

Mamuthones

Mamoiada é il vero e proprio cuore pulsante della Barbagia che si avvicina piú di tutti all’antica storia della Sardegna. Il paese é conosciuto per il suo carnevale popolato dalle ancestrali maschere dei “Mamuthones” e degli “Issohadores”. I Mamuthones, con in volto una maschera nera, si muovono con il loro passo cadenzato facendo risuonare in tutto il paese i campanacci che portano al collo. Vengono scortati dagli Issohadores, vestiti con maschera bianca e corpetto rosso, che d’improvviso gettano il laccio per catturare le giovani donne in segno di buona salute e fertilità. Assolutamente da non perdere è il Museo delle Maschere Mediterranee.

Le colline e i boschi intorno a Mamoiada sono disseminati da numerosi segni di civiltà ormai dimenticate. Il nuraghe di Monte Juradu, i menhir Sas Pedras Longas, le misteriose case delle fate Sas Domus de Janas e la magica stele di Boeli.

Visita il sito della Strada del Vino Cannonau.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

1578, Mar dei Caraibi La Isla: siamo approdati da qualche giorno su questa isola al centro del Mar dei Caraibi. I mesi passati sono stati proficui, abbiamo catturato un convoglio spagnolo carico di oro  e quanto ritorneremo a casa saremo così ricchi da far invidia alla stessa Regina. Per il momento ci godiamo un meritato riposo su queste spiagge bianche, selvagge e lambite da un mare azzurro e trasparente. L’isola è poco abitata ma nel piccolo villaggio nascosto dagli alberi c’è una taverna dove andiamo a rilassarci e a celebrare le nostre avventure. L’oste ci ha consigliato di provare una bevanda particolare e dissetante fatta con foglie di menta schiacciate con rum e limone verde. Ne siamo rimasti talmente colpiti che ne ordiniamo a botti intere e in nostro onore l’oste ha dato alla bevanda il nome di “Draquecito”. 

In fede Sir Francis Drake

Gli amanti dei coctail avranno sicuramente indovinato la bevenda che ha colpito Francis Drake, pirata inglese che fece dei Caraibi la sua seconda casa. Gli ingredienti sono semplici e inconfondibili: rum, menta e lime. Manca lo zucchero di canna che è stato aggiunto soltanto in seguito per rendere la bevanda più appetibile. Naturalmente stiamo parlando del mojito, uno dei coctail più famosi e tra i più bevuti nelle serate estive magari sulla spiaggia e con il nostro sguardo che si perde all’infinito.

L’origine del nome mojito

Mojito il coctail dei pirati

Quella che abbiamo raccontato è una leggenda e va presa come tale. L’unica cosa certa è che il mojito ha origini molto antiche e che la sua ricetta è mutata nei secoli seguendo il gusto del tempo. Anche l’origine del nome è incerta ed esistono diverse teorie sulla nascita del nome “mojito”. La prima lo fa derivare dal mojo, un condimento tipico della cucina cubana a base di aglio e agrumi, usato per marinare. Un’altra teoria lo lega alla traduzione della parola spagnola mojadito, che significa “umido“. Un’ultima ipotesi, poco attendibile ma circondata di grande fascino, lo fa risalire al termine vudù mojo, che significa “incantesimo“.

Ricetta per avere un perfetto mojito da “incantesimo” 

Prendere un bicchiere alto e inserire le foglie di menta, succo di lime, zucchero e uno spruzzo di soda, quindi pestare senza triturare cercando di non spezzare le foglie di menta. Aggiungere il ghiaccio, metà tritato e metà a cubetti, completare quindi con rum e ancora un top di soda. Guarnire con della menta a piacimento. ghiaccio spezzato (non tritato) e a questo punto potete aggiungere il rum bianco per poi completare il tutto con la soda o acqua gassata.

Una piccola variante consiste nel mescolare due tipi di rum, il primo chiaro invecchiato da uno a tre anni ed il secondo ambrato invecchiato fino sette anni. Ha un gusto ancor più deciso, ma il tasso alcolico è lo stesso del Mojito normale, dato che un rum più invecchiato diventa solo più morbido, e non più forte.

Curiosità e consigli sul mojito.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

Colore giallo dorato, profumo di miele e frutta matura, sapore dolce e suadente. Da queste indicazioni saremmo portati a pensare di stare degustando un vino passito, magari del sud, con le uve che sono state accarezzate dal sole e baciate dalla brezza marina. Niente di più lontano dalla verità.

Il nostro vino proviene dal Canada, da uno dei vigneti più freddi del pianeta, lontano dal mare e dove i raggi del sole fanno fatica a scaldare la terra. Stiamo parlando dell’Ice Wine (vino del ghiaccio) e in questo articolo scopriremo tutti i segreti di questo nettare dorato e le sue caratteristiche che lo rendono un prodoto unico al mondo.

I segreti dell’ice wine

Ice Wine

L’Ice Wine trae il suo nome dalle condizioni climatiche particolari delle terre in cui viene prodotto…freddo, freddo, freddo. È proprio lui il magico alchimista che crea le caratteristiche uniche per dar vita a questi vini.

I grappoli d’uva maturi vengono lasciati sulla pianta fino all’arrivo dell’inverno dove la temperatura scende sotto lo zero e congela l’acqua all’interno degli acini. Il continuo processo di congelamento e scongelamento durante i mesi di gennaio e febbraio favorisce la disitradazione e la concentrazione degli zuccheri e delle sostanze nobili all’interno dell’acino in modo da ottenere un succo complesso, intenso e variegato.

Per mantenere queste condizioni anche durante la lavorazione, la vendemmia avviene di notte rigorosamente a mano, e la pigiatura del grappolo viene effettuata direttamente nella vigna e con temperature che oscillano intorno a -10 gradi. In questo modo l’acqua contenuta negli acini è cristallizata e non viene estratta e il succo che ne fuoriesce è una vera e propria concentrazione di sostanze aromatiche. Il tutto deve essere fatto molto velocemente per non dare il tempo all’acqua contenuta negli acini di scongelarsi.

Considerata l’alta concentrazione di zuccheri, la fermentazione del mosto avviene molto lentamente e può richiedere anche alcuni mesi per concludersi in maniera ottimale.

L’uva utilizzata nella produzione degli Ice Wine è generalmente a bacca bianca, Riesling in Germania e Vidal in Canada. Il Vidal in particolare è l’uva perfetta per questa tipologia di vino in quanto è resistente al freddo e la sua buccia spessa lo rende ideale per la sovrammaturazione in pianta. Ne esistono versioni anche a bacca rossa ma sono molto rari.

L’origine degli Ice Wine

Le origini degli Ice Wine non sono molto chiare, diverse leggende ne narrano i natali ma quasi sicuramente sono nati in Germania e sono frutto del caso.

La storia racconta che il 1794 fu un inverno particolarmente rigido e  nella città di Würzburg si congelarono tutti i grappoli sulle piante. I vignaioli, cercando comunque di produrre un pò di vino, pigiarono le poche uve rimaste e il mosto, una volta fermentato, produsse un vino eccezionale, l’antenato dell’Ice Wine.  In seguito la tecnica di produzione fu migliorata ed affinata anche se le particolari condizioni climatiche necessarie alla produzione del vino non si presentano tutti gli anni e quindi non è sempre possibile produrre gli Ice Wine. Problema che non interessa il Canada dove il clima rigido permette di avere una produzione costante e di alto livello, tanto da far diventare il Canada il maggior produttore al mondo.

Come degustare un ice wine

Gli Ice Wine permettono di avere una esperienza sensoriale unica che ammalia il palato e i sensi. Sono essenzialmente vini dolci anche se il segreto del loro successo è un perfetto equilibrio tra dolcezza ed acidità che giocano a rincorrersi e a pennellare le papille gustative con i loro colori caratteristici. Al naso siamo invasi da aromi dolcemente tropicali, mentre in bocca la dolcezza viene ripulita dall’acidità che prerara il palato al prossimo sorso.

Va servito freddo, intorno ai 10-12°C. Perfetto vino da dessert anche se regala sensazioni uniche se bevuto da solo come vino da meditazione.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

Cognac, Armagnac, Grappa, Whisky, Brandy, Vodka, Sakè, Acquavite, Calvados, Rum, Tequila. Quante volte abbiamo letto questi nomi nei nostri cocktail preferiti, quante volte siamo stati ammaliati dai loro suadenti sapori e quante volte ci siamo chiesti quali fossero le loro vere differenze, la loro origine e la magia che li ha creati?

Un invisibile file rouge di alchimia li collega: sono tutti distillati. Sono cioè prodotti con quel procedimento fisico, chiamato distillazione, che permette di separare i componenti volatili di un fermentato in base al loro diverso punto di ebollizione. A prima vista sembra una storia complicata, ma è sufficiente un pizzico di curiosità per scoprire tutti i segreti che trasformano vino, cereali, mele, vinacce e patate in uno di questi meravigliosi “liquidi alcolici” che tanto amiamo.

La pittoresca città di Cognac.

La città di Cognac

Iniziamo il nostro viaggio nella terra di Asterix, da quello che viene definito il principe dei distillati: il Cognac. Stiamo parlando di un distillato di vino, prodotto esclusivamente in Francia intorno alla pittoresca città che porta il suo nome a nord di Bordeaux. La graziosa città è placidamente attraversata dalla Charente, un piccolo fiume definito dal Re di Francia Francesco I: “il più bello del mio regno”.

Passeggiando per le vie di Cognac siamo subito accolti da un profumo ammaliante che ci riporta la mente a tempi lontani. Si tratta delle “part des anges” (parte degli angeli), ossia della piccola quantitá di alcol che evapora da ciascuna botte in cui é messo ad invecchiare il cognac, ed è considerata cosí preziosa che viene data in omaggio ai messaggeri di Dio. Considerando che l’origine del cognac risale al seicento e che ogni anno circa il 3% del distillato evapora, é possibile fare un rapido conto di quanto alcol é finito su nel cielo ed é anche spiegato il motivo per cui gli angeli sono sempre contenti e li troviamo tutto il giorno a suonare la trombetta.

Il cognac é considerato dai suoi estimatori un distillato che regala sensazioni indescrivibili e i fattori che danno vita a questo magnifico nettare ambrato sono del tutto unici:

un microclima perfetto influenzato dalla vicinanza dell’oceano, terreni dalla distinta personalità che infondono un complesso ventaglio di aromi, una tecnica di distillazione basata su una tradizione secolare di esperienza.  La storia del cognac.

Il nostro viaggio alla scoperta del Cognac inizia in vigna. L’uva in gran parte utilizzata è l’Ugni Blanc, che produce un vino semplice ma con due essenziali caratteristiche ideali per la distillazione: un alto livello di acidità e un basso tenore alcolico. La distillazione viene effettuata con lo Charentais, il tipico alambicco in rame a forma di cipolla che risale al XV secolo, e si compone essenzialmente di due fasi (da qui il nome di “doppia distillazione”) che permettono di ottenere prodotti di notevole eleganza.

La distillazione

La doppia distillazione ha origine da una leggenda che narra che nel XVI secolo Jacques de la Croix-Maron, un cavaliere appassionato di viticoltura e alchimia, volesse ricavare da questo vino un’acquavite di altissima qualità. Dopo molti tentativi andati a vuoto, gli apparve in sogno Satana che tentava di prendere l’anima del cavaliere facendolo bollire. La prima volta il diavolo non ebbe successo ma alla seconda ebollizione il tentativo stava andando a buon fine. A questo punto il cavaliere si svegliò dall’incubo e utilizzò il suggerimento del diavolo per distillare due volte il vino e ottenere il tanto desiderato liquore.

Nella prima fase il vino viene immesso nella caldaia, viene scaldato e i vapori danno vita ad un liquido denso e lattigginoso con un basso tenore alcolico. Nella seconda distillazione, dal prodotto ottenuto precedentemente si seleziona soltanto il prezioso cuore con un tenore alcolico tra 65% e 72%. Questa seconda fase, molto delicata, è di vitale importanza per ottenere un prodotto di alto livello e il successo del ciclo di distillazione risiede in una attenta e costante supervisione del mastro distillatore, capace con la sua esperienza di infondere al Cognac la propria impronta caratteristica.

L’invecchiamento

A questo punto inizia l’importante fase dell’invecchiamento. Lo spirito che diventerà cognac viene messo in botti di rovere francese che trasferiscono lentamente al distillato i propri aromi, il caratteristico colore ambrato e rendono più morbido e rotondo il distillato. Dopo la permanenza nelle botti, che può durare anche decine di anni, il cognac viene travasato in damigiane di vetro e messo a riposare in speciali locali chiamati “paradis”, che vanno a braccetto con le “part des anges” di cui abbiamo prima accennato.

Siamo ormai pronti all’ultima fase della produzione, la miscelazione (assemblage). Questa operazione molto delicata viene effettuata esclusivamente dal maestro di cantina e consiste nel miscelare cognac di annate diverse con purissima acqua di sorgente per ottenre un prodotto finale di eccelsa qualità.

Enoturismo a Cognac.

La zona di Cognac è perfetta per una vacanza enogastronomica e se vi recate in questa zona della Francia sicuramente non potete perdervi una visita ad una delle famose distillerie che da secoli producono il distillato francese più conosciuto al mondo. Non avete che l’imbarazzo della scelta: Camus, Hennessy, Martell, Rèmy-Martin e Courvoisier e sarà un piacere passare una giornata nelle varie cantine che propongono visite guidate in cui vengono spiegati tutti (o quasi) i segreti del cognac.

Come si degusta il cognac.

Come degustare il cognac

Per finire forniamo alcuni consigli per degustare al meglio il cognac. Fondamentale è il calice da degustazione. Per il cognac il bicchiere più indicato è quello a tulipano con la pancia ridotta e il restringimento verso l’alto utile per convogliare i profumi verso il naso. Questo bicchiere è da preferire al romantico ed evocativo baloon, calice con stelo ridotto e pancia molto ampia, in quanto quest’ultimo esalta troppo l’alcol a discapito degli altri aromi. Gli intenditori preferiscono berlo liscio ad una temperatura di circa 20 gradi. La liberazione dei preziosi aromi viene aiutata esclusivamente con il calore della mano.

Numerosi sono i cocktail che prevedono il cognac cone ingrediente principale: Sidecar, Bloody Passion, Bonaparte, Cognac Highball, French Bite, High Moon e tanti altri…ma questa è un’altra storia.

Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+