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Parlare di Alois Lageder e della sua filosofia di fare il vino vuol dire immergersi in un ambiente che parla di natura, biodinamica, approccio olistico, tradizione, innovazione, arte e rispetto.

Il viaggio inizia in Alto Adige, nel lontano 1823, e ci riporta ai giorni nostri con una visione della viticultura del tutto unica e particolare che non parla solo di vino ma soprattutto di come produrlo in totale simbiosi con la natura che lo ospita.

Il motto “il vino nasce in vigna” lo abbiamo ormai sentito molte volte, ma quello che ci stupisce della filosofia di vignaiolo di Alois Lageder è l’introduzione del concetto di olismo nell’universo vino.

L’olismo secondo Alois Lageder

Alois Lageder

L’olismo è un insieme di idee filosofiche per cui le proprietà di un sistema, che per definizione è costituito da più elementi, sono superiori alla sommatoria dei contributi dei singoli elementi.

Questo approccio si può riassumere nelle parole di Alois Lageder quando afferma che “La qualità è sempre il risultato di molti dettagli, a volte anche minimi, … , lavorando in sintonia con la natura”, e solo comprendendo a fondo tutti questi elementi e capendo il modo in cui interagiscono è possibile farli lavorare in armonia per ottenere vini di alta qualità.

Quindi parola, comune in tutti i vini dell’Azienda, è un rispetto incondizionato verso la natura perché solo in questo modo può esprimere il meglio di sé e dar vita a un vino che racconti veramente e con sincerità il territorio che l’ha generato.

La filosofia olistica si adatta perfettamente al giardino vitato che è l’Alto Adige in quanto, essendo ricco di microzone ognuna con le sue peculiari caratteristiche pedoclimatiche, può produrre vini profondamente legati al territorio ognuno con una propria anima individuale.

Come viene messa in pratica questa filosofia innovativa ma che poggia le sue radici in un lontano passato? La soluzione è stata trovata cercando di fondere tradizione ed innovazione, prendendo spunto dalla natura ma supportandola dalla moderna tecnologia in un connubio vincente ed efficace. Perché è vero che il vino è un prodotto naturale ma non dimentichiamoci che senza il valido ed intelligente aiuto dell’uomo non avremo mai nel bicchiere quel nettare che tanto ci fa sognare.

Il tutto parte dal vigneto dove le lavorazioni sono svolte ispirandosi ai cicli della natura e alle forze che la regolano. Proprio come facevano i nostri antenati che vivevano in simbiosi totale con essa e che si basavano sul ciclo della Luna, del Sole e dei pianeti. Le uve vengono quindi lavorate rispettando i tempi giusti e sottoponendole a processi delicati in grado di trasformarle senza stressarle.

Alois Lageder e l’arte

L’approccio olistico di Alois Lageder trova la sua massima espressione quando ricerca nella sua tenuta il connubio tra natura e le arti (musica, cultura e architettura) ricordando che in quei vigneti “non si coltiva solo uva ma anche arte”.

La cantina

In effetti anche la sua cantina di nuova costruzione è una vera e propria “opera d’arte biologica” che si incastona brillantemente nei vigneti circostanti. Interamente progettata con materiali bioedili (legno, pietra e vetro), rispettando i criteri di sostenibilità e di autosufficienza energetica ha fatto da apripista per la bioarchitettura in Alto Adige ed è il frutto dell’idea di Alois Lageder di “portare la natura all’interno degli edifici”.

Per rimanere fedeli all’idea che le tecniche di vinificazione devono rispettare l’uva e lavorarla delicatamente, la nuova cantina di Magrè è stata progettata proprio per venire incontro a queste esigenze. Le uve arrivano nella torre di vinificazione che è profonda 17 metri e dove il loro passaggio avviene esclusivamente grazie alla forza di gravità senza l’ausilio di pompe. Alla base della torre poi i serbatoi per il vino sono disposti a cerchio per minimizzare gli spostamenti del prodotto.

COR RÖMIGBERG Cabernet Sauvignon

La coltivazione biologica e biodinamica delle vigne, supportata da un utilizzo intelligente della tecnologia, permette di ottenere vini unici che risaltano al meglio le caratteristiche del territorio.

COR RÖMIGBERG Cabernet Sauvignon

In particolare sono due le linee di prodotti dell’azienda vinicola: Tenutæ Lageder e Alois Lageder. La prima accoglie in pieno la filosofia biodinamica mentre la seconda è dedicata alla produzione di vitigni autoctoni in purezza provenienti dai vigneti più vocati.

Andiamo a degustare un vero cavallo di razza prodotto dall’Azienda, il COR RÖMIGBERG Cabernet Sauvignon, per verificare se racchiude in pieno tutta la filosofia di Alois Lageder.

Le uve, Sauvignon e Petit Verdot,  sono frutto di vigneti coltivati in modo biodinamico controllato e certificato e regalano al naso una complessità unica ed in continua evoluzione. Inizialmente si sprigionano sentori fruttati che lentamente si trasformano in aromi speziati più complessi. In bocca è pieno, equilibrato, con pennellate tanniche decise ma mai fuori posto e con una persistenza che sembra interminabile.

Per maggiori informazioni visita il sito di Alois Lageder.

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Per comprendere fino in fondo i vini della famiglia Ceretto, uno dei maggiori produttori del Piemonte, è fondamentale conoscere la loro “idea di vino” che sta alla base di ogni bottiglia che porta la loro firma.

Il tutto parte da un viaggio in Borgogna, intrapreso dai due fratelli Ceretto, dove appresero sul campo il concetto di “cru” e “terroir”. Per quel periodo, siamo agli inizi degli anni ’60, queste erano parole del tutto sconosciute in Italia e pensare che la qualità del vino potesse essere legata ai singoli appezzamenti di terra, alla loro posizione, alla loro conformazione dei terreni e al loro microclima era un concetto degno di un film di fantascienza.

Ma in fin dei conti non era fantascienza visto che queste idee venivano già applicate, e con risultati di altissimo livello, in una regione che aveva una tradizione vinicola secolare e dai cui c’era tanto da imparare.

Per questo i due fratelli iniziarono a selezionare i vigneti a seconda della loro posizione, proprio per ottenere il miglior prodotto possibile. E considerando che il vino di qualità deve partire da un uva di qualità, la strada a quel punto era tutta in discesa.

I cru Ceretto.

I vigneti dell’Azienda Ceretto

Avendo prima introdotto la parola “cru”, spero di avervi incuriosito e di avervi messo la smania di non veder l’ora di conoscere meglio questi “terroir” unici e spettacolari in gran parte situati nelle migliori zone del Barolo e Barbaresco.

In particolare sono quattro le aziende dedicate alla produzione dei vini:

Bricco Rocche a Castiglione Falletto, Bricco Asili a Barbaresco, Tenuta Monsordo Bernardina ad Alba, I Vignaioli di Santo Stefano a Santo Stefano Belbo.

Bricco Rocche si trova a Castiglione Falletto nel cuore delle Langhe, vera anima della D.O.C.G. del Barolo. Proprio per riprendere il concetto di cru, le bottiglie hanno etichette differenti a seconda della zona di provenienza:

Barolo DOCG Bricco Rocche (Castiglione Falletto) Barolo DOCG Brunate (La Morra) Barolo DOCG Cannubi San Lorenzo (Barolo) Barolo DOCG Prapò (Serralunga d’Alba)

Bottiglie così uniche non potevano che riposare in una luogo altrettanto unico. Infatti, nel 2000, la cantina è stata ampliata con la costruzione del “Cubo”, una struttura interamente in vetro che come un faro in mezzo al mare domina tutto il territorio circostante.

Bricco Asili, dedicato alla produzione di Barbaresco, regala uve da vigne vecchie di oltre 40 anni. Pur avendo un nome locale, “bricco” è infatti la cima della collina Asili nel villaggio di Barbaresco, si porta dietro un po’ di Francia avendo la cantina al centro del vigneto come un piccolo chateau della terra di Asterix.

Cantina Monsordo Bernardina

Tenuta Monsordo Bernardina ad Alba è il cuore pulsante dell’Azienda e biglietto da visita della famiglia Ceretto. Da poco tempo la Tenuta è stata rinnovata per dare spazio al nuovo e dirompente fenomeno chiamato enoturismo e per accogliere gli ospiti amanti del vino nella maniera opportuna.

Orgoglio di tutta la Tenuta è l’Acino, una struttura architettonica all’avanguardia (se vi ricordate bene avevo parlato all’inizio dell’articolo di “fantascienza”),  che ricorda proprio la forma di un acino e che si staglia imperiosa sulle vigne del Barolo. L’Acino è una sala da degustazione completamente immersa nella natura che, grazie alla trasparenza della struttura, permette di “degustare il vino degustando il panorama”.

Vignaioli di Santo Stefano, posto a Santo Stefano Belbo, è un progetto nato con l’idea di legare al concetto di qualità un vino, il Moscato, non sempre tenuto nella dovuta considerazione. 

Arte, vino e design.

Ceretto arte e design

Abbiamo visto che i vini e i vigneti Ceretto sono immersi nell’arte e ne respirano a pieni polmoni. E questo legame si può notare fin dall’ingresso alle Tenute di Bricco Rocche dove siamo accolti da un cancello che definirlo tale è riduttivo. In effetti si tratta di una vera e propria opera d’arte dal titolo “Ovunque proteggimi” del maestro Valerio Berruti con lo scopo di “proteggere e di accudire” i terreni simbolo dell’Azienda.

Il legame tra vino e design si può notare anche nelle etichette che sono delle vere e proprie opere d’arte. Infatti i Ceretto sono stati la prima cantina in Piemonte a capire l’importanza della veste del vino e ad affidare ad esperti designer la forma delle bottiglie e le loro etichette per farle risultare uniche e riconoscibili.

Per conoscere l’anima della famiglia Ceretto andiamo a degustare il loro fuoriclasse che riassume in pieno la loro idea di vino.

Barolo DOCG Bricco Rocche

Barolo Bricco Rocche

Nel cuore del Barolo, nel comune di Castiglione Falletto, nasce il Bricco Rocche con una produzione in piccola quantità ma di altissimo livello. La raccolta e la selezione delle uve viene fatta esclusivamente a mano, proprio per esaltare il carattere unico del vino, e il loro viaggio si conclude con un sapiente affinamento prima in fusti di rovere e quindi in botti grandi.

Al naso siamo invasi da una complessità labirintica con una colonna portante solida, scura, robusta ma allo stesso tempo elegante. Vino intenso che diffonde sentori di spezie di luoghi lontani e note di frutta scura e matura. In bocca esplode equilibrato riempiendo tutto lo spazio con i suoi tannini importanti e con una persistenza che sembra non finire mai.

Per approfondimenti visita il sito dell’Azienda Ceretto.

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“Fu Ulisse, ammaliato da Circe, ad apprezzare per primo la magia di questo vino. Magia non è crearlo: è amore, passione, rispetto delle tradizioni; segreti racchiusi in una preziosa bottiglia, dove lui respira, vive e matura per rievocare l’antico incanto.”

L’estate è ormai giunta alla fine ma il sole caldo dell’autunno romano fa sentire i suoi effetti e ci invoglia a trascorrere una giornata fuori dalla città lontani dalla vita di tutti i giorni. Fortunatamente vicino Roma ci sono molti luoghi da visitare e abbiamo solo l’imbarazzo della scelta e stavolta i nostri viaggi ci portano verso sud, a calpestare le sabbie ricche di storia e a respirare quell’aria di mare che ha accarezzato il volto di tanti eroi.

Siamo nel Circeo, il promontorio roccioso che divide il Lazio dalla Campania che già nel suo nome evoca il ricordo di miti e leggende. Si narra che su queste spiagge sia approdato Ulisse e che vi rimase parecchio tempo ammaliato dalla maga Circe. Passeggiando per questi luoghi probabilmente anche noi rimarremmo estasiati dalla loro bellezza e varietà: mare cristallino e spiagge bianche ma anche un bellissimo parco naturale ricco di specie ormai introvabili.

Cantina Sant’Andrea: la storia

È proprio in questa terra che a metà del ‘900 la famiglia Pandolfo comprò un podere e con coraggio e fatica iniziò  a produrre un vino che sarebbe diventato ben presto simbolo ed emblema di questa terra di sole e di mare.

Naturalmente questi luoghi ricchi di storia non potevano che ospitare una famiglia con una storia altrettanto variegata. La famiglia Pandolfo originaria di Pantelleria, la piccola isola perla del Mediterraneo che ha dato i natali a tanti vini celebri, si trasferisce nel 1880 in Tunisia dove vennero piantate le prime viti che davano vita a vini famosi fino in Francia. Poi a cause delle vicende storiche di questa terra, ricordiamo che nel 1964 il presidente della Tunisia espropriò tutte le proprietà degli stranieri, la famiglia Pandolfo fu costretta a fuggire e, proprio come Ulisse, approdò sulle spiagge del Circeo. È grazie a queste vicende che oggi noi possiamo bagnare il palato con i suoi vini ricchi di sole e magia.

Cantina Sant’Andrea: Oppidum

Oppidum Cantina Sant’Andrea

Il vino della Cantina di Sant’Andrea che vi suggerisco è l’Oppidum ed è un qualcosa di insolito e particolare. Infatti per essendo un vino prodotto da uve moscato, è vino secco e non dolce come ci potremmo aspettare.

Il colore è un giallo paglierino carico con rilessi dorati e splendenti che ricorda subito il sole e il mare di questi luoghi. Naso intenso e variegato con intarsi di albicocca e frutta tropicale che riportano subito al vitigno di provenienza. In bocca è pieno, ricco e con continui rimandi aromatici alle sensazoni olfattive. Finale marino molto lungo.

La sua complessità e tipicità lo rendono un perfetto compagno a piatti di pesce elaborati e fritti misti.

Per ulteriori informazioni vai al sito di Cantina Sant’Andrea.

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Le origini della Casa Delamain risalgono al 1700, periodo della nascita del Cognac e del suo fiorente commercio, e la collocano tra le più antiche del settore. Ancora oggi l’azienda continua una lunga tradizione familiare che le ha permesso di creare una relazione di fiducia con le migliori distillerie della regione. Il carattere familiare viene notato dal visitatore che, risalendo il fiume Charente, si reca a Jarnac e trova, con sorpresa, una sede raccolta e intima. Soltanto un antico stemma fissato alla porta tradisce la presenza di un luogo segreto dove 200 anni di storia incontrano l’eleganza.

Caratteristica fondamentale dei Cognac Delamain è l’estrema cura con cui vengono prodotti. Si narra, infatti, che i direttori che si sono succeduti alla guida dell’azienda hanno sempre controllato di persona tutti i passi chiave della produzione. Passi che vengono riassunti in quello che viene definito “Lo Spirito Delamain” o meglio “L’Esprit Delamain” che di seguito raccontiamo.

L’Esprit Delamain

Cognac Delamain stemma

La storia inizia con un’accurata selezione dei distillati (eau de vie) provenienti dai produttori storici situati nei terroir più vocati della Grande Champagne. I vincitori vengono posti in grandi botti in legno di rovere che sono messe a riposare in cantina, per diversi anni, dove trovano le condizioni ottimali per l’affinamento. La Casa Delamain utilizza soltanto botti usate, per evitare l’attacco eccessivo dei tannini.

Dopo aver atteso che il Tempo abbia lentamente messo la sua firma sul prezioso liquido, il Maestro di Cantina si occupa dell’ultima e delicatissima fase di produzione: la miscelazione (assemblage). In questa fase i Cognac di diversi vigneti vengono uniti al fine di ottenere un prodotto equilibrato che viene di nuovo lasciato in botte per raggiungere l’alta qualità richiesta ai Cognac Delamain. A questo punto ha luogo la delicata operazione della riduzione dove vecchi Cognac, diluiti con acqua di sorgente, vengono lentamente aggiunti in passi successivi al nuovo distillato.

Cognac EXTRA de Grande Champagne

L’etichetta che oggi degustiamo è il Cognac EXTRA de Grande Champagne, prodotto dalla miscelazione di un’accurata selezione di Cognac invecchiati. Ciascun distillato viene invecchiato separatamente per trattenere le proprie caratteristiche particolari, unito agli altri e quindi lasciato invecchiare per altri due anni in botti fabbricate con legno proveniente dalle foreste di Limousin. L’affinamento avviene in vecchie cantine umide lungo le rive del fiume.

Versato nel bicchiere il suo colore oro topazio mostra tutta la sua maturità. Il suo aroma è la perfetta espressione di un Cognac invecchiato della Grande Champagn:

complesso, potente, con aromi tostati di scatola di sigaro.

In bocca è pieno, intenso, fruttato e il volume alcolico 40% è  perfettamente equilibrato.

Meraviglioso è il suo originale decanter. Lo stemma che riporta impresso proviente da un piatto originale fatto da Henry Delamain nel 1762.

Per approfondimenti visita il sito del produttore Delamain.

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“…inizialmente non avevo nessuna intenzione di produrre vino. Lo reputavo noioso e banale. Dopo 10 anni ho capito che il mondo del vino presenta una varietà umana che è un porto di mare più movimentato della politica e del giornalismo”.

Con queste parole facciamo la conoscenza di Giovanni Negri e da subito veniamo rapiti dalla simpatia che sprigiona nel raccontare i suoi pensieri di vita e di vino. Lui stesso racconta che è approdato in questo mondo un pò per caso, quando si è ritrovato a gestire la proprietà di famiglia e ha dovuto indossare il cappello del viticoltore. In questo modo fortuito è iniziato il suo rapporto con il mondo enologico e con i caratteristici personaggi che lo popolano, ma è subito chiaro che sarà un legame scherzoso e sbarazzino. Come possiamo pretendere serietà da una persona che definisce gli enologi come quei personaggi che “arrivano in elicottero e già devi staccare il primo assegno, fanno 10 metri e ne devi staccare un altro…”.

Giovanni Negri e il suo modo di vedere il mondo del vino.

Probabilmente è proprio questo suo modo di vedere il vino con occhi diversi e di volerlo raccontare che piano piano l’ha portato verso il mondo della scrittura e ad incrociare ragionamenti di libri e di vini. Giovanni Negri afferma che “è bello mettere insieme un romanzo con i prodotti della terra”. Naturalmente il prodotto in questione si chiama vino e  dal felice connubio di penna e bicchiere sono nati diversi prodotti letterari tutti di grande successo: “Il romanzo del vino”, “Vinosofia”, “Vineide”, fino ad arrivare alla sua ultima fatica “Il sangue di Montalcino”.

La penna alcolica fa nascere in questo romanzo un commissario, italiano di frontiera,  introverso e sobrio che ritiene che il vino sia una cosa normale e che è chiamato ad occuparsi di un omicidio di un noto wine maker. Alla fine delle sue indagini scopre che un wine maker può essere un custode di segreti e di misteri, e che è una figura in bilico tra il rabdomante, l’alchimista, il sognatore e il confessore. Un po’ come i migliori vini che spesso sono il saggio blend di diversi vitigni. Un pò come lo stesso Giovanni Negri, scrittore, produttore e filosofo. Un simpatico personaggio che si diverte a giocare con i vini e con le parole, entrambi di livello straodinario come sicuramente può affermare chi ha bevuto i suoi vini e letto i suoi libri (magari unendo le due cose: leggere con un bicchiere in mano).

Giovanni Negri racconta che insieme ai libri sono nati i vini nella sua azienda Serradenari. Prodotti di tradizione a base di Nebbiolo affiancati da “due cose strane” per le Langhe, il Pinot Nero e lo Chardonnay. Possiamo sicuramente affermare che i suoi vini mettono a confronto due anime diverse del territorio.

I vini delle Langhe 

Il Nebbiolo, che incarna la vera essenza della terra di Langa, è un vino prodotto da uve che provengono dal cuore dei territori più vocati. Le Langhe sono un vero e proprio mostro geologico, un sedimentato secolare di forze interiori che possono essere addomesticate soltanto dal Nebbiolo, un mastino che riesce ad incanalare l’irruzione di forza che proviene dalla terra.

Lo Chardonnay è una novità per questa terra che per secoli ha ospitato solo Nebbiolo. Giovanni racconta che “…questo vino rispecchia il tipo di evoluzione e ricerca che stiamo cercando di fare e migliorare. È la cosa che mi ha fatto tornare orgoglioso della mia regione e che incarna pienamente il motto di Piemonte Felix”.

Serradenari e i suoi vini 

Chardonnay

Vino lumisoso e solare con delicate tonalità dorate. Ha al naso un profilo olfattivo serrato ancora da evolvere ma nella sua austerità si librano accenti di note scure e speziate. Esprime netto il richiamo alla terra con rimandi a sentori tropicali, di frutta secca e minerali. Il palato è un connubio fra grassezza (la morbidezza è figlia di 3 mesi di affinamento legno) e sapidità. Tono finale sapido che riporta al territorio.

Uno Chardonnay con queste caratteristiche può provenire solo da queste parti, dalla terra Langa dove ogni vino è una scommessa.

Chardonnay 2008

È costituito dall’85% di Chardonnay e dal 15% di un ingrediente misterioso diverso dallo Chardonnay. A Giovanni Negri piace giocare e torneremo a casa con il mistero irrisolto.

Calice giallo di grande impatto, riflessi oro verdi. Respiro potente e austero. Rilevante il legno ma dosato in maniera felice e splendidamente bilanciato da un sottofondo agrumato. Il profilo gusto-olfattivo è ben decifrabile con tratti maturi e improvvisi ritorni minerali più fini. Lo sviluppo al palato presenta alcune similitudini con il vino precedente, avvolgente e morbido, ma impiega più tempo a liberare la mineralità.

Nebbiolo

Bicchiere che incarna l’aspetto classico del nebbiolo nei primi anni di vita con povertà di colori e sfuggenti riflessi granati. Naso subito avvolgente con sensazione di mineralità ferrosa e tracce ematiche, il fruttato  è giocato su toni scuri dove appare chiaro il richiamo finale alla terra. In bocca appare subito gentile grazie ai tannini morbidi e vellutati, cosa molto difficile per un nebbiolo, e ci lascia con un finale quasi dolce che ricorda la componente fruttata.

Barolo 2006

Rosso scuro con tonalità granate animato da una consistenza interessante. Il naso, cupo e serrato, si apre lentamente facendoci scoprire un’elegante balsamicità, quasi mentolata. La bocca è bagnata da un tannino importante, muscolare ma non fastidioso, bilanciato da una bella spalla acida. Austero ed elegante.

Barolo 2005

Vino dalla complessità straordinaria con una componente balsamica arrichita da un bagaglio variegato di sentori. Nota di china che si impadronisce del naso. Un grande vino che regala emozioni anche nella prima fase della sua vita. Avvolgente.

Visita il sito dell’azienda Serradenari.

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Francia, XVII secolo.

In una fredda e buia cantina, Dom Perignon, monaco benedettino e mastro cantiniere dell’abbazia di Hautvillers, finalmente assapora, apparentemente soddisfatto, il frutto del suo lavoro. Sembra ieri la prima volta che ha piantato nuove varietà di uve in vigna, che ha sperimentato nuove tecniche in cantina, che ha iniziato a mescolare uve soltanto al fine di raggiungere la perfezione.

Il lavoro è stato duro, tanti i fallimenti, tanti i ripensamenti. Eppure, adesso, seduto sul piccolo sgabello di legno, con le ombre che danzano sulle pareti animate dalla debole fiamma di una candela e con il sapore intenso del vino che ancora rimane in bocca, è convinto che ne sia valsa la pena e che il frutto del suo lavoro verrà un giorno ricordato. 

New York, XXI secolo.

Champagne Armand de Brignac.

In una festa in un ricco attico, con le luci della notte che animano le strade, personaggi dello spettacolo raccontano le loro ultime avventure sul set, i loro prossimi film da girare e si scambiano complimenti per le loro recenti apparizioni sullo schermo. Tra un sorriso e uno sguardo ammiccante, intravediamo, immersa nel ghiaccio, una bottiglia di champagne. È seminascosta, ma ne immaginiamo l’esclusività da alcuni particolari che sicuramente non passano inosservati. La bottiglia è completamente ricoperta da una lamina d’oro, decorata con quattro etichette di peltro che, come scopriremo in seguito, sono state attaccate a mano. Ben visibile e di notevole impatto è il logo della maison, un “Ace of Spade”, che simboleggia le origini regali della regione dello Champagne.

Champagne Armand de Brignac.

La preziosa bottiglia è l’Armand de Brignac, brand di lusso creato dal celebre produttore Cattier per contrastare il predomino di Cristal e Dom Perignon nelle serate mondane delle “celebrities”. La strada della notorietà è iniziata grazie ad un video del rapper americano Jay-Z dove compare per la prima volta la dorata bottiglia. Da quel momento le star del jet-set hanno fatto a gara per comparire in compagnia delle lussuose bollicine. David Beckham’s, Justin Timberlake, Will Smith, Leonardo di Caprio, George Clooney sono soltanto alcuni dei testimonial inconsapevoli dell’Armand de Brignac che non ha avuto bisogno di allestire ulteriori campagne pubblicitarie considerato lo spessore dei suoi estimatori.

Lo champagne secondo Cattier

Cattier produce vino dal lontano 1793 e possiede un fantastico vigneto nel cuore nobile della Champagne. Ma cosa rende unico l’Armand de Brignac da altri prodotti della maison?

Naturalmente viene prodotto secondo i secolari e tradizionali metodi che permettono di avere un prodotto di altissima qualità. Il vino base proviene esclusivamente dal cuore del mosto della prima spremitura, vero e proprio concentrato di aromi e profumi. Vino che in seguito viene riposto ad affinare in botti di quercia per nove mesi. Inoltre, invece di utilizzare vino di una sola annata, si è puntato a creare un blend di lusso di annate eccellenti, ognuna con le proprie caratteristiche distintive. Come ama raccontare Jean-Jacques Cattier, “uno champagne millesimato è come un violinista che suona da solo; uno champagne blend di diverse annate è una intera orchestra che suona all’unisono”.

Il concetto su cui nasce l’Armand de Brignac è molto lineare, “produrre il miglior champagne e presentarlo nel migliore dei modi”. L’idea suona semplice ma il risultato è stato fantastico.

Il prezzo? Ovviamente molto alto, ma un gentiluomo non parla mai di soldi.

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1992, Gran Premio di Spagna

“…finalmente sono il pilota di punta della Ferrari, ho tutti gli occhi addosso. Piove, il circuito è un lago, sono partito ottavo.

Devo recuperare. 

I rombi dei motori mi giungono ovattati nel casco, rivoli di pioggia sulla visiera si divertono a distorcere la realtà. Vedo l’auto di Berger sullo specchietto destro, ci tocchiamo e scivolo in fondo alla classifica.

Devo recuperare. 

In curva la ruota anteriore impatta con quella di Mika Häkkinen, perdo il controllo e finisco in testacoda.

Devo recuperare. 

La pioggia aumenta. Le macchine che mi precedono alzano nuvole di acqua e schiaccio l’accelleratore… 

…alzo la coppa al cielo, sono sul podio. Le braccia mi tremano per la stanchezza. La pioggia fredda continua a bagnarmi il viso, e le gocce che mi scivolano sulla guange sono un sollievo. Sono sul podio.”

Jean Alesi e il suo vino

Jean Alesi

Tra gli abbinamenti insoliti ma sicuramente molto ricercati sta prendendo piede quello tra il vino e i personaggi famosi. Forse spinti dall’effetto moda (fare vino è trendy) o forse spinti da una passione nascosta che li ha sempre visti dall’altro lato della barricata (o meglio della barrique), molti personaggi famosi hanno acquistato una vigna e sono diventati dei “vigneron”. Magari sono alla fine della loro carriera e sono alla ricerca di un luogo magico dove potersi finalmente riposare, oppure sono così abituati a firmare autografi che per non perdere l’allenamento decidono di apporre la firma sull’etichetta della loro linea di bottiglie.

Tra i tanti vip che hanno intrapreso la strada alcolica, spicca fra tutti Jean Alesi. Ex pilota di Formula 1, ha guidato il cavallino rampante per diversi campionati ed è ricordato per essere stato una figura molta amata dai tifosi. Fama guadagnata sui circuiti per la sua bravura e anche al di fuori della pista per a sua eleganza e modi di fare. Elegante come il vino che porta la sua firma.

Ci troviamo in Francia nel cuore della Cotes du Rhone, zona famosa in tutto il mondo per i suoi vini rossi a base di Syrah potenti, strutturati e ricchi di sostanza. Qualsiasi produttore che in qualche parte del mondo decide di creare vini con questo vitigno, sicuramente non può fare a meno di prendere la Valle del Rodano come punto di riferimento. Un vero e proprio modello da studiare, da imitare ma difficilmente da eguagliare.

Clos de l’Hermitage

Clos de l’Hermitage

Il vigneto è stato acquistato da Jean nel 1995 quando cercava un posto tranquillo dove trasferirsi con la famiglia e subito si è innamorato di questa vigna di 4 ettari, circondata dal classico muretto di pietra tipico della zona, il “clos”. Lo stesso Alesi ricorda che il posto era in cattivo stato, abbandonato per più di 30 anni e con cespugli ovunque; ma gli occhi attenti ed esperti di un vigneron suo amico lo hanno convinto ad acquistarlo, sicuri del fatto che vecchie vigne in questo luogo magico non potessero che produrre un vino di altissima qualità. Ci sono voluti ben quattro anni di lavoro ma alla fine gli sforzi sono stati ripagati e hanno dato vita al Clos de l’Hermitage, oggi considerato uno dei migliori vini della Cotes du Rhones.

Il Clos de l’Hermitage viene prodotto dal blend di tre uve: Grenache, Syrah e Mourvedre, ognuna che apporta al vino le sue caratteristiche tipiche, particolari e molto riconoscibili. Il Grenache, conosciuto in Sardegna con il nome di Cannonau, regala corpo, struttura e note intense di frutti rossi e pepe. Il Syrah dona invece eleganza e rotondità. Infine il Mourvedre tinge il vino con pennellate variegate e complesse di aromi terziari. In bottiglia abbiamo quindi un vino di classe, di grande potenziale e capace di evolvere nel tempo in maniera sublime.

Fantastica anche l’etichetta, semplice e diretta che riporta la firma del pilota sul lato, quasi nascosta. È opera di un designer giapponese, e non poteva essere altrimenti considerando che la moglie di Alesi è una famosa e stupenda attrice del Sol Levante.

2010, Cotes du Rhone

“…sono seduto davanti al camino acceso. Fuori piove e l’odore tipico delle giornate di pioggia entra dalla finestra aperta. Porto il bicchiere alla bocca, i sapori maturi del vino invadono la mente e mi riportano indietro nel tempo quando correvo nei circuiti di tutto il modo. Sono Jean Alesi ”.

Per maggiori informazioni visita il sito di Clos de l’Hermitage.

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Iniziamo con questo articolo un viaggio (speriamo lungo e piacevole) nei vini e nei personaggi che sono diventati icone incontrastate del mondo enologico. Veri e propri miti, amati, osannati, imitati e immancabili nelle cantine dei veri intenditori che per averli sono disposti a rimandare una vacanza o l’acquisto dell’auto nuova.

Oggi andremo nella terra di Dante per immergerci nel mito del Sassicaia, mito nato in Toscana e che ha saputo affermarsi con decisione in tutto il mondo. A sentirne parlare oggi, sembra un vino che esiste da sempre e che nei secoli ha lentamente affinato i suoi lineamenti fino a raggiungere le punte di eccellenza che conosciamo. Anche il sigillo medievale di famiglia raffigurato sull’etichetta ci porta la mente ad un antico passato popolato di dame e cavalieri. Ma la realtà è ben diversa e restiamo meravigliati quando, raccogliendo gli indizi, scopriamo che il Sassicaia è un vino nato soltanto negli anni sessanta. Meraviglia basata sul fatto che nell’antico mondo del vino cinquanta anni sono considerati una giovane età.

La storia e il sogno del Sassicaia.

I vigneti del Sassicaia

Leggendo la storia del Sassicaia scopriamo che è un vino che rompe i soliti canoni pur essendo immerso in un mondo ricco di storia e con una lunga tradizione vinicola. Gli Incisa della Rocchetta, produttori del Sassicaia, sono infatti una nobile famiglia protagonista delle vicende medioevali di una terra, la Toscana, nel cui petto pulsa da sempre il Chianti. La rottura con la tradizione è passata attraverso diversi elementi:

l’utilizzo del Cabernet in una terra legata indissolubilmente al Sangiovese, l’invecchiamento del vino in piccole barriques francesi in cantine che avevano visto per secoli soltanto grosse botti. 

Naturalmente per dare vita ad un progetto del genere c’è bisogno di coraggio e di una mente visionaria lanciata verso il futuro. Infatti il mito Sassicaia parte da un sogno e da un’intuizione di Mario ­­­­­­­­­­­­­­­­­­Incisa della Rocchetta. Il sogno era di creare in Italia un vino importante prendendo come riferimento i grandi vini di Bordeaux. L’intuizione è stata la scoperta che la Tenuta San Guido, terra d’elezione del Sassicaia, era molto simile in quanto a conformazione dei suoli con una famosa zona vinicola bordolese, le Graves. Questa particolare conformazione del terroir, ricca di ciottoli e sassi, ricopre un ruolo così importante da dare il nome al vino stesso: Sassicaia.

Come spesso accade i profeti non vengono ascoltati in casa loro e inizialmente, siamo nel 1968, i giudizi non sono positivi. Un po’ per amore della tradizione (meglio noto come sciocco attaccamento al passato) e un po’ perchè non si era capito il segreto di questi vini: il Tempo. È proprio l’arcano traghettatore che con i suoi magici effetti muta e migliora le caratteristiche del vino.

L’origine della qualità del Sassicaia.

Ben presto il mondo scopre l’alta qualità nascosta nel Sassicaia e non poteva essere altrimenti visto le basi su cui elegantemente poggia. Il terreno ha delle conformazioni uniche in Italia e per raccogliere il meglio che nasconde, i vigneti sono piantati in posizioni differenti.

Il Sassicaia trae infatti la sua forza dal provenire da vigneti che dalle colline degradano dolcemente verso il mare, prendendo da ciascuno le proprie caratteristiche peculiari. La vicinanza al mare con le sue escursioni termiche e la leggera brezza marina è proprio una delle caratteristicche che si imprimono in ogni bottiglia. Il tutto viene curato con la sapiente mano dell’uomo che si è preoccupato di donargli un sistema di allevamento particolare che unito alle basse rese regala un prodotto ricco e strutturato.

La Cantina.

La cantina del Sassicaia

La cantina del Sassicaia è stata per molto tempo quella di Castiglioncello di Bolgheri in quanto i vigneti erano tutti situati nei pressi del castello. In seguito con l’espandersi dei vigneti anche la cantina doveva subire un ammodernamento e fu spostata vicino all’ Oratorio di San Guido.

La nuova cantina, posta vicino alla cantina di vinificazione è una vera e propria opera d’arte dell’architetto Agnese Mazzei ed è proprio qui che il Sassicaia riposa prima di arrivare sulle nostre tavole.

Infine concludiamo il nostro viaggio nello Spazio. Qualche anno fa un astronauta italiano ha partecipato ad una missione imbarcando sull’astronave alcuni vitigni presi dalla terra del Sassicaia. I vitigni verranno ripiantati una volta terminata la missione per esaminare gli influssi spaziali sulla vite. Possiamo con orgoglio affermare di essere gli unici ad avere un vino “stellare”.

Visita il sito della Tenuta San Guido.

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L’azienda vinicola Castello di Cigognola si trova nel cuore dell’Oltrepò Pavese, un territorio che ricorda subito una forma di grappolo. Questa è la prima idea che ci viene in mente osservando su una cartina geografica questa parte d’Italia bagnata dal Po, una terra di confine da sempre considerata il serbatoio enologico per l’assetata Milano. La Milano “da bere” ma che si è spesso accontentata di vini beverini, senza troppe pretese nella qualità e nel prezzo.

Fortunatamente le cose stanno cambiando e dalla terra-grappolo stanno emergendo realtà dalle produzioni davvero interessanti. Una fra queste è il Castello di Cigognola che si presenta con un pedigree di tutto rispetto: una storia secolare, un territorio dal microclima eccezionale e un enologo di fama mondiale.

Castello di Cigognola: la storia

Castello di Cigognola

La nostra storia inizia nel 1212, anno di costruzione del castello che ancora oggi domina le terre circostanti con la sua maestosa torre ornata da merli ghibellini. Fin da subito vigneti e castello si attraggono iniziando a vivere in una simbiosi perfetta e l’uva diventa parte integrante della vita e delle vicende del luogo.

In alcuni manoscritti del ‘400 il vino prodotto nei territori circostanti viene definito “vino bono puro et neto” e i sussurri dell’antico ancora riecheggiano in ogni bottiglia. La parola d’ordine è tradizione e il legame con il passato si riflette in ognuno dei suoi vini: nobili, di carattere e legati indissolubilmente al territorio.

A Castello di Cigognola la tradizione è una vera e propria passione che si respira nell’aria e nei calici. Anche la scelta dei vitigni utilizzati non è lasciata al caso ma rispecchia in pieno la filosofia dell’Azienda. Barbera e Croatina sono le regine di queste colline irregolari che firmano con una calligrafia inconfondibile l’unicità e la bellezza della zona. Le esposizioni variabili dei diversi vigneti, oltre a saziarci gli occhi per lo scenario multicolore che offrono, sono un volano per la qualità indiscutibile. Ogni anno, infatti, è possibile scegliere i vigneti che hanno meglio interpretato la stagione climatica e ottenere così vini sempre di alto livello.

In ciascuna bottiglia del Castello di Cigognola ritroviamo quindi la tipicità del territorio e delle uve utilizzate. Il terreno argilloso ricco di calcio dona un’alta acidità al vino che è anche una delle caratteristiche tipiche della Barbera, mentre le forti escursioni termiche tra il giorno e la notte regalo ai vini aromi delicati ed ampi. Dal connubio vitignio-territorio nascono così dei vini da grande invecchiamento e capaci di reggere con fierezza i colpi del tempo.

Infine, da non dimenticare, è la mano dell’uomo. Mano esperta e delicata che parte dalla raccolta delle uve, rigorosamente eseguita a mano, fino al sapiente lavoro in cantina dove le uve vengono lavorate appena dopo la raccolta. Per ottenere vini dai tannini eleganti, viene effettuata la diraspatura, una pigiatura soffice mentre le moderne vasche di fermentazione a temperatura controllata permettono di evitare eccessivi rimontaggi.

Castello di Cigognola e Riccardo Cotarella 

Il nocchiero di questo lungo e meticoloso viaggio è Riccardo Cotarella, uno tra i più conosciuti ed apprezzati wine maker del nostro paese che con la sua bacchetta magica riesce a tramutare in perfetti purosangue ogni grappolo d’uva che ha la fortuna di incrociare i suoi passi. Fin da subito il famoso enologo ha dettato le sue regole:

basse rese, meticoloso lavoro in cantina, affinamento il barrique di rovere.  I vini del Castello di Cigognola

Andiamo ora a scoprire i due fuoriclasse del Castello di Cigognola: Poggio della Maga e Dodicidodici.

Poggio della Maga

Bel colore rosso rubino, intenso e concentrato. Al naso ci accoglie una nota balsamica che si trasforma velocemente in sensazioni aeree ed eleganti. In bocca abbiamo un’esplosione di sapori, irruente ma allo stesso tempo equilibrato. Il buon livello di acidità ben supportato da un’avvolgente morbidezza ci porta la mente ad un potenziale evolutivo straordinario. Un vero cavallo di razza, convincente.

Dodocidodici

Rosso rubino con allegre sfumature porpora. All’olfatto siamo invasi da una tonalità scura di sottobosco con pennellate speziate. Al palato siamo accolti da un principio fresco (classico del Barbera) subito accompagnato da un minuetto sapido e ricco di polpa. Vino ricco di sfumature. Perfetto con carni e salumi.

www.castellodicigognola.it

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Leone de Castris è un’antica azienda del Salento, nata nel 1665 ad opera del Duca Oronzo Arcangelo Maria Francesco Conte di Lemos, ed è a attualmente una delle realtà più importanti del Sud Italia producendo circa 2,5 milioni di bottiglie.

Leone de Castris e il Salento.

Leone de Castris

La penisola salentina per molti secoli è stata considerata la “Porta d’Italia” in quanto zona di frontiera e i numerosi castelli fortificati posti a difesa del territorio sono testimonianza del suo tormentato passato. Passato che si respira passeggiando per le pianure del Salento dove non si può rimanere indifferenti ai numerosi blocchi di pietra alti fino a sei metri piantati nel terreno. Sono i Menhir, costruzioni di origine celtica che dovevano avere un significato rituale e religioso, infatti sulle facce di alcuni di essi sono riportate incisione di croci ed in altri casi una croce è stata posata sulla sommità.

Altri monumenti affascinanti sono i Dolmen, monumenti megalitici costituiti da un lastrone di pietra appoggiato orizzontalmente su pietre fissate verticalmente nel terreno. C’è chi afferma che erano monumenti funebri, chi invece pensa che venissero usati per i sacrifici per rendere omaggio alle divinità.

In questa terra affascinante e ricca di storia l’azienda vinicola Leone de Castris ha diversi vigneti in cui accanto ai vitigni tradizionali di Negroamaro, Malvasia nera, Verdeca, Bianco d’Alessano, Moscato, Aleatico e Primitivo si affiancano i nuovi vitigni di Chardonnay, Pinot, Sauvignon, Cabernet, Merlot e Montepulciano. In definitiva si può dire che la Leone de Castris rappresenta quasi 350 anni di storia che guardano al futuro.

I vigneti di Leone de Castris

Parole d’ordine del Salento è “varietà” e ogni zona ha le proprie caratteristiche distintive. Nella provincia di Lecce, cuore del Salento, ci sono i suoli argillo-limosi che permettono di trattenere la poca acqua che il cielo regala durante l’anno e l’uva maggiormente coltivata è il Negroamaro. La Manduria, posta a sud di Taranto, ha suoli molto più argillosi ed è la terra del Primitivo.

Importanti sono anche le differenze nei sistemi di allevamento. Il cordone speronato, con le sue rese elevate, viene utilizzato per i vitigni a bacca bianca o rossi che non devono essere affinati a lungo. L’alberello, con le sue basse rese, è utilizzato invece per le uve che daranno vita a vini rossi che devono essere affinati in botte.

Five Roses, il miglior vino rosato italiano.

Vino storico firmato Leone de Castris è il rosato “Five Roses”. La storia di questo vino inizia nel 1943, quando sul finire della guerra il generale Charles Poletti, affascinato dal vino ne chiede una grande fornitura. Le uve provenivano da una contrada che si chiamava “Cinque Rose” in quanto per molto tempo tutte le generazioni della famiglia Leone de Castris avevano avuto cinque figli. Il Generale voleva però un nome americano per il vino, per questo l’etichetta venne cambiata in “Five Roses” e divenne il primo vino rosato ad essere imbottigliato e commercializzato in Italia ed esportato negli Stati Uniti.

Altra data storica è il 1954, quando nasce il vino rosso “Salice”. Il vino diventa così importante che la futura doc della zona Salice Salentino prenderà il suo nome.

Leone de Castris e i suoi vini.

L’azienda vinicola Leone de Castris produce una grande varietà di vini di cui vogliamo andare a scoprire i più rappresentativi.

Donna Lisa

Donna Lisa

Salento IGT, anno 2008, 100% Malvasia bianca, 13% di gradazione alcolica.

Parziale fermentazione in barrique e affinamento per altri 6 mesi sulle fecce sempre in barrique. Dalla vendemmia del 2008 viene utilizzata la Malvasia Bianca per sottolineare il legame con il territorio (prima era prodotto con Chardonnay).

Il Donna Lisa è un vino dai caldi riflessi dorati. Al naso svela profumi intensi e importanti. La prima sensazione è salmastra per poi virare al minerale con tagli fruttati (frutta a polpa bianca) mentre in chiusura richiama note fumè che rimangono come sottofondo.

In bocca, dove la bella acidità iniziale passa il testimone alla sapidità, è netta la sensazione di pulizia e siamo affascinati dalle note fruttate che richiamano le sensazioni olfattive.

Il Donna Lisa è sicuramente un bianco da invecchiamento dalla persistenza molto lunga e che conferma la straordinaria vocazione di questa cantina nell’utilizzo di uve autoctone.

Five Roses Anniversario

Five Roses Anniversario

Salento IGT, anno 2008, 80% Negroamaro, 20% Malvasia nera di Lecce, 12,5% di gradazione alcolica.

Il Five Roses Anniversario, prodotto per la prima volta nel 1993 in occasione dei 50 anni del Five Roses, rispetto alla versione base ha una percentuale maggiore di Malvasia Nera di Lecce. Le uve provengono dai vitigni più vecchi (50 anni) allevati ad alberello e sono sottoposte ad una macerazione breve prefermentativa che implica una estrazione selettiva (si cerca di estrarre più antociani e meno tannini).

Alla vista regala un bel colore rosa chiaretto da manuale, molto luminoso.

Al naso è subito avvolgente, rapisce per la sua eleganza e il grande impatto iniziale ti assale con fragranze floreali (rosa) e fruttate (fragole e ciliegia).

Il palato è generoso e si rileva subito la freschezza, l’eleganza e l’equilibrato nei sapori chiudendosi con una nota fruttata e striature sapide. Nel finale ci attende un convincente ritorno delle note olfattive che invadono il palato.

Salice Salentino DOC Riserva

Salice Salentino

Anno 2006, 90% Negroamaro, 10% Malvasia nera di Lecce, 13,5% di gradazione alcolica.

Il Salice Salentino DOC Riserva è un vino molto importante per l’azienda. Le viti, con un’età compresa tra 20-50 anni, sono coltivate ad alberello mentre il vino, affinato per 12 mesi in botti grandi di rovere e per altri 12 mesi in bottiglia, è versatile negli abbinamenti perchè pieno di sfaccettature.

Il calice si macchia di un bel rosso rubino e l’unghia porpora nasconde il lungo l’affinamento.

Il sipario si apre al naso con una nota floreale che ricorda il Five Roses e, a questo ingresso fresco e floreale, si contrappone ben presto un sottofondo scuro.

In bocca veniamo accolti da una buona acidità che il tannino, rimanendo timido solo sullo sfondo, non riesce a coprire. Finale sapido.

Donna Lisa Rosso

Donna Lisa Rosso

Salice Salentino Rosso Riserva DOC, anno 2005, 90% Negroamaro, 10% Malvasia nera di Lecce, 14% di gradazione alcolica.

Le viti sono coltivate ad alberello con un’età tra i 50-60 anni che implicano rese per ettaro molto basse ideali per avere uve di una certa struttura. Il vino viene affinato 18 mesi in barrique di rovere francese e altri 18 mesi bottiglia. Sicuramente un vino impegnativo.

Il bicchiere si macchia di rivoli rosso rubino, molto luminoso. Al naso tornano le sfumature floreali, supportate da una buona balsamicità. In seguito svela  la sua complessità, i sentori di macchia mediterranea sonointervallati da striature dolci e minerali. Al palato ha un ingresso fruttato, immediato, morbido che ci conduce subito a una presenza tannica importante ma allo stesso tempo elegante e morbido (morbido all’inizio e morbido alla fine). Ottima piacevolezza di beva. Il tannino scalpitante ci permette di abbinarlo a piatti importanti.

Primitivo di Manduria Villa Santera

Primitivo di Manduria

Primitivo di Manduria DOC, anno 2008, 100% Primitivo, 15,5% di gradazione alcolica.

Alta gradazione alcolica tipica del Primitivo. Essendo un’uva dall’alta acidità, ha bisogno di una buona dose di alcol per risultare un vino equilibrato. Per avere più zuccheri nelle uve e quindi più alcol nel vino si protrae la maturazione delle uve.

Il Primitivo di Manduria Villa Santera si presenta con un rosso rubino con riflessi violacei. L’olfatto è allietato da aromi di frutta carnosa (prugna, amarena) che riposa su un sottofondo di liquerizia. In seguito appaiono note ferrose e minerali. In bocca siamo accolti da un’avvolgenza che ricorda l’olfatto che vira nel finale verso note ferrose, saline, ematiche. Tannino delicato.

Visita il sito azienda vinicola Leone de Castris.

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