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Studiamo la separazione centrifuga e i vantaggi rispetto alla chiarificazione spontanea.

Durante le prime fasi di produzione del vino, quando cioè il mosto viene estratto dall’uva, si ha la necessità di chiarificare il prodotto in quanto è ricco di sostanze indesiderate in sospensione che compromettono la qualità finale del vino.

Gli enzimi contenuti naturalmente nell’uva permettono una prima sedimentazione di queste particelle che, grazie alla forza di gravità, si vanno a depositare nel fondo del serbatoio e possono essere rimosse con facilità. Nella parte superiore andrà a stabilirsi il mosto, che presenta meno torbidità rispetto a quello iniziale, ma che necessita una ulteriore chiarificazione prima di essere sottoposto alle altre operazioni di vinificazione.

Il problema della chiarifica spontanea è che risulta molto lenta e che il liquido, alla fine del processo, presenta comunque una certa quantità di sostanze solide in sospensione.

In enologia ci sono altri modi per chiarificare il mosto e il vino e diverse tipologie di macchine enologiche che possono essere impiegate tutte che operano grazie al processo di filtrazione. Per filtrazione si intende la separazione di un liquido dalle parti solide in esso contenute grazie all’applicazione di una pressione adeguata su un filtro.

Separatore centrifugo

Tra i vari modi di effettuare la filtrazione la separazione centrifuga, che avviene grazie alla forza centrifuga prodotta da una macchina, è uno dei modi più utilizzati ed ha notevoli vantaggi:

costi iniziali contenuti, costi di esercizio contenuti, efficiente, permette una ottimizzazione degli spazi, possibilità di utilizzarla nelle varie fasi di vinificazione.

La separazione centrifuga viene ottenuta grazie ai separatori centrifughi, ossia attrezzature per enologia formate da un contenitore a forma cilindrica che ruota sul proprio asse a velocità sostenuta. Il liquido torbido viene immesso nel centro del tamburo attraverso un tubo di alimentazione e, grazie alla forza centrifuga, le particelle in sospensione nel liquido vengono depositate sulle pareti del contenitore. Nella parte centrale della macchina rimarrà il liquido limpido e privo di sostanze solide.

Perché la separazione centrifuga è efficace

Per dimostrare la reale efficacia della separazione centrifuga rispetto alla decantazione spontanea bisogna ricorrere alla fisica e a qualche formula che ne spiega con precisione il comportamento.

Alla base della chiarificazione spontanea c’è la Legge di Stokes che determina la velocità di sedimentazione delle particelle in sospensione in un liquido:

Legge di Stokes decantazione spontanea

Vg = velocità di sedimentazione

d = diametro della particella in sospensione

ρs = massa delle particelle

ρl = massa del liquido

ή = viscosità del liquido

g = forza di gravità

Tralasciando tutti gli altri parametri possiamo notare che le particelle si depositeranno con velocità direttamente proporzionale alla forza di gravità. Se riusciamo a sostituire a questa forza una di valore superiore, anche la velocità di sedimentazione aumenterà. In particolare possiamo sostituirvi la forza centrifuga che ha un valore notevolmente maggiore (almeno 5000 volte) a quello della forza di gravità.

Legge di Stokes separazione centrifuga

ω²*r = forza centrifuga

 

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In cantina, durante i vari processi di produzione, vengono utilizzati diversi contenitori per vino e mosto (detti anche vasi vinari) di varie forme, dimensioni e materiali a seconda della funzionalità richiesta. I contenitori per vino intervengono nei diversi processi di produzione: fermentazione, stoccaggio, conservazione, stabilizzazione ed invecchiamento.

Oggi i contenitori per vino ricoprono sempre più importanza per ottenere vini di qualità e sono passati da essere considerati solo dei contenitori a implementare numerosi funzioni utili alla corretta produzione di vino. A tal fine è necessario che abbiano determinate caratteristiche a seconda in quale fase produttiva vengono impiegati:

devono essere facili da pulire e mantenere, durare a lungo senza cambiare le proprie caratteristiche, resistenti alla corrosione da parte del vino e dagli agenti esterni, impermeabili, nel caso di quelli fabbricati in legno devono garantire il corretto scambio di ossigeno con l’esterno, permettere la giusta dispersione termica, resistere alle intemperie.

In genere i contenitori per vino vengono suddivisi nelle seguenti tipologie a seconda del materiale con cui sono costruiti:

contenitori per vino in legno, contenitori per vino in cemento, contenitori per vino in metallo. Contenitori per vino in legno

Contenitori per vino in legno

I contenitori per vino in legno sono i tini, le botti e le barrique.

Le barrique sono botti con capacità di 225 litri costruite in varie tipologie di legno (in genere quercia o rovere), costituite da doghe unite tra loro e tenute insieme da cerchi metallici. Vengono usate per conservare ed affinare vini di alta qualità, in genere rossi, e il loro impatto sul vino dipende dalla tipologia del legno, dalla stagionatura e dalla tostatura a cui è stato sottoposto.

Le botti e i tini sono contenitori per vino di grandi dimensioni costruiti in legno di castagno, rovere, quercia e altri tipologie a seconda dell’effetto che si vuole trasferire al vino.

Le botti hanno una forma ellittica o rotonda mentre la forma dei tini è la classica tronco-conica che ne garantisce un’elevata solidità. Possono essere corredati di numerosi accessori per facilitarne l’utilizzo: apertura superiore, apertura laterale per scarico vinacce e apertura inferiore per lo svuotamento totale.

Contenitori per vino in cemento

I contenitori per vino in cemento hanno in genere una forma geometrica quadrata o rettangolare e sono costruiti in cemento armato con tondini di ferro. Le pareti interne del contenitore devono essere intonacate con malta per facilitarne la pulizia, mentre il pavimento deve avere la giusta pendenza per favorirne lo svuotamento ed evitare pericolosi ristagni.

Considerato che il cemento è un materiale poroso e sono influenzati dal liquido che contengono, le pareti del contenitore vengono trattate con materiali protettivi.

Contenitori per vino in acciaio inox

Contenitori per vino in acciaio inox

I contenitori per vino in acciaio inox vengono usati per la fermentazione del mosto, per lo stoccaggio e conservazione del vino (serbatoi in acciaio inox), per la refrigerazione, fermentini e autoclavi per produrre i vini spumanti. L’acciaio inox (AISI 304 e AISI 316) ha notevoli vantaggi rispetto ad altri materiali:

resistente, igienico, facilmente pulibile, non altera le caratteristiche del contenuto, buona conducibilità termica. Segui Guido Cocozza l’autore dell’Enoblog Enologica Petrillo su Google+

La flottazione è un processo grazie al quale è possibile chiarificare il mosto o vino. Tale processo consiste nel separare i solidi contenuti nel liquido portandoli in superficie con l’aiuto di bolle d’aria o azoto e di particolari agenti flottanti (bentonite, sol di silice, gelatina).

Per quale motivo è necessario chiarificare il mosto? Perché tutte le attività meccaniche utilizzate per estrarre mosto dall’uva producono un prodotto non limpido che contiene sostanze indesiderate (terra, piccole porzioni di bucce e raspi, residui del trattamento della vite). Queste sostanze possono avere effetti indesiderati durante la fermentazione del mosto e per questo è necessario rimuoverle, in particolare nei vini bianchi per evitare di ottenere aromi erbacei, gusti amari, colori troppo carichi scarsa stabilità.

La flottazione permette quindi di raggiungere un certo numero di obiettivi:

chiarificare il mosto al fine di mandare in fermentazione un prodotto pulito, stabilizzare il vino nei confronti di proteine e sostanze fenoliche. Come avviene la flottazione?

Chiarifica per flottazione

Affinché la flottazione sia efficace, è necessario tenere in agitazione il vino o mosto dopo aver aggiunto ad esso l’agente flottante (o flocculante) ed inserire aria nei serbatoi o “cella di flottazione”.

Il compito dell’agente flottante è di modificare le proprietà dei solidi presenti nel liquido ed esaltare le proprietà idrofile e aerofile del prodotto. In particolare le parti solide che assorbono acqua si bagnano e precipitano sul fondo del serbatoio in quanto hanno una densità maggiore di quella del liquido, mentre quelle che assorbono aria, avendo una densità inferiore a quella del vino, vengono trascinate dal gas in superficie dove formano uno strato di schiuma ed eliminate con metodi adeguati.

La flottazione che determina il trasporto in superficie delle particelle solide in sospensione, agisce in due modi distinti. Il primo è l’aggancio di tali particelle da parte delle bolle di gas che vengono trainate in superficie, il secondo è la cattura delle bolle di gas da parte dei fiocchi in sospensione.

Per effettuare in cantina la flottazione del vino con un’attrezzatura moderna e di alta qualità, consigliamo di utilizzare l’EnoMixer, un macchinario progettato e brevettato dai laboratori di Enologica Petrillo.

Flottazione e decantazione

La chiarificazione del mosto o vino può avvenire anche per decantazione, ossia le particelle solide vanno verso il basso e si depositano sul fondo, ma la flottazione ha il vantaggio di essere più veloce permettendo di lavorare in modo continuo e con una capacità lavorativa maggiore. In questo modo è possibile separare la feccia dal mosto velocemente e garantire il mantenimento delle proprietà organolettiche del vino in quanto il prodotto fermenta in purezza.

Parametri che influenzano la flottazione

La flottazione, come tutti i fenomeni chimico-fisici, dipende da alcuni parametri che ne influenzano il funzionamento.

Uno dei valori da tenere in considerazione è la dimensione dei solidi presenti nel liquido in quanto ne influenza la velocità di separazione. In particolare tale velocità è direttamente proporzionale al quadrato del diametro delle particelle (cioè aumenta con l’aumentare delle loro dimensioni), ma allo stesso tempo particelle grandi hanno, in rapporto alla loro massa, una superficie ridotta che entra a contatto con il gas. Considerando che il gas ha l’effetto di rendere la particella più leggera, meno superficie vuol dire meno gas che si lega e quindi meno velocità di risalita.

Inoltre la flottazione è legata alla temperatura che influenza sia la densità del mosto e sia la viscosità dello stesso. In particolare all’aumentare della temperatura:

diminuisce la viscosità del mosto, diminuisce la densità del mosto, aumenta la velocità di flottazione, rallenta la separazione dei solidi, velocizza gli effetti degli enzimi.

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La stabilizzazione tartarica dei vini cosa è, da cosa è determinata e come può essere risolta.

La stabilizzazione tartarica è dovuta ai fenomeni di precipitazioni provocati dal potassio e dall’acido tartarico presenti nel vino. Inizialmente queste due sostanza sono presenti nelle uve ma non entrando in contatto non procurano nessun danno. Nel momento in cui l’uva viene pigiata, le due sostanze si mescolano e possono creare problemi di precipitazione di bitartrato di potassio.

Questa precipitazione è un processo lento che può avvenire in cantina dopo la fermentazione del mosto oppure direttamente in bottiglia, dopo l’imbottigliamento del vino, una volta che il vino raggiunge gli scaffali delle enoteche.

Questo fenomeno non provoca nessun danno organolettico nel vino ma sicuramente dal punto di vista visivo il prodotto non viene considerato di qualità e non viene accettato da un consumatore sempre più esigente. In particolare i maggiori problemi li abbiamo nei vini bianchi dove i cristalli di bitartrato di potassio sono moto evidenti.

Per questo motivo è fondamentale lavorare bene in cantina, procedere con le opportune pratiche di stabilizzazione del vino ed evitare qualsiasi precipitazione una volta che il vino è stato imbottigliato.

Attualmente abbiamo diversi metodi di stabilizzazione tartarica:

fisici usando l’abbassamento della temperatura, chimici con l’aggiunta di particolari sostanze. I metodi fisici di stabilizzazione tartarica.

Stabilizzazione tartarica

I metodi fisici di stabilizzazione tartarica sono basati esclusivamente sul controllo della temperatura in quanto la solubilità dei sali ne è strettamente legata,  in particolare diminuisce con l’abbassamento della temperatura.

Quindi si porta il vino ad una temperatura bassa per un certo periodo di tempo, si aspetta la precipitazione del bitartrato di potassio e quindi si separano dal vino i cristalli che si sono formati attraverso i filtri per il vino o i separatori centrifughi.

Per portare il vino alla giusta temperatura ci sono vari metodi. Alcune cantine posizionano i loro serbatoi in acciaio inox all’esterno in modo che le rigide temperatura invernali facciano tutto il lavoro.

Altre cantine invece usano diversi metodi continui o discontinui per portare il vino alla temperatura di circa 5 gradi sotto zero, attendono la precipitazione dei cristalli e quindi procedono alla filtrazione del vino rendendolo limpido. In genere dovrà essere aggiunta una certa quantità di anidride solforosa per prevenire eventuali ossidazioni favorite dalle basse temperature.

I metodi chimici di aggiunta di stabilizzanti.

La stabilizzazione tartarica può essere aiutata anche con metodi chimici che consistono nell’aggiunta di particolari sostanze che inibiscano la precipitazione tartarica.

Tra i colloidi il più utilizzato è l’acido metatartarico per la sua alta efficienza, infatti ne bastano pochi milligrammi per litro per inibire la precipitazione tartarica.

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La diraspatura, nel complesso processo che porta le uve a diventare vino, è quell’operazione che consente di separare gli acini dai raspi per poi essere pressati per favorire la fuoriuscita del mosto.

La diraspatura avviene delle macchine enologiche chiamate diraspatriciche permettono la separazione dei raspi usando la forza centrifuga di un albero composto da un sistema a pale che ruota all’interno di un cilindro forato. È fondamentale che questa operazione sia fatta in modo delicato senza compromettere la qualità delle uve e lasciando i raspi integri.

Gli acini sono quindi passati alla pigiatrice che permette di ottenere il mosto. Quando la diraspatura viene eseguita insieme alla pigiatura si usano le pigiadiraspatrici.

I vantaggi della diraspatura.

Diraspatura

La diraspatura ha i seguenti vantaggi:

si vuole occupare meno spazio. Ricordiamo che i raspi rappresentano fino al 30% del volume dell’uva e se vengono eliminati si avrà meno materiale da lavorare con il vantaggio di usare meno vasche di fermentazione, migliore qualità del vino. Grazie alla diraspatura le sostanze contenute nei raspi, come i tannini non nobili e il potassio, non vengono mescolate al mosto con il vantaggio di ottenere vini più morbidi, meno acidi e più equilibrati, aumento della gradazione alcolica in quanto i raspi contengono acqua, sono privi di zuccheri e assorbono l’alcol prodotto dalla fermentazione, aumento delle sostanze coloranti in quanto i raspi assorbono gli antociani responsabili del colore finale del vino.

Nel processo di vinificazione la diraspatura non viene sempre impiegata in quanto i raspi hanno anche determinate funzioni positive:

migliore regolazione termica del prodotto. L’acqua presente nei raspi tiene sotto controllo l’aumento della temperatura durante la fermentazione. Ricordiamo che al di sopra di un certo valore di temperatura la fermentazione subisce un arresto, migliore areazione del mosto. I raspi contengono ossigeno che è utile nelle fasi di macerazione e fermentazione.

Le diraspatrici che, in genere, sono costruite in due materiali distinti, acciaio inox e lamiera smaltata sono fornite di una pompa centrifuga che permette il trasferimento del mosto nei tini di fermentazione, o fermentini, e sono facilmente ispezionabili per permettere una loro rapida e corretta pulizia.

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L’utilizzo dell’anidride solforosa è molto diffuso in enologia grazie alle sue numerose proprietà che permettono di ottenere vini di qualità e privi di difetti. L’anidride solforosa quando viene aggiunta al mosto o al vino interagisce con numerosi componenti ottenendone notevoli vantaggi:

Azione selettiva e antisettica: l’SO2 permette un pieno controllo della proliferazione dei microrganismi in tutte le fasi della lavorazione del vino fino alla conservazione. Questa azione è maggiore nei confronti dei batteri rispetto ai lieviti che risultano più resistenti all’anidride solforosa. In questo modo è possibile ottenere una completa stabilizzazione microbiologica del vino.

Azione chiarificante: l’anidride solforosa ha un effetto ritardante all’inizio della fermentazione permette alle particelle in sospensione di sedimentare.

Azione antiossidante: l’anidride solforosa si ossida al solfato in presenza di ossigeno e previene l’ossidazione delle sostanze coloranti e fenoliche con relativa protezione del colore e degli aromi. Molto importante è il suo utilizzo durante l’affinamento del vino, i travasi e le lavorazioni per proteggerlo dall’ossidazione.

Azione antiossidasica: blocca l’azione degli enzimi ossidasici.

Azione solubilizzante: l’anidride solforosa si lega agli antociani e permette la solubilizzazione delle sostanze coloranti e fenoliche.

L’anidride solforosa e le sue forme in enologia.

L’anidride solforosa viene utilizzata in enologia in varie forme ognuna con i relativi vantaggi e svantaggi:

Solforosa liquida, Solida insieme al metabisolfito di potassio. Anidride solforosa liquida vantaggi

La forma liquida dell’anidride solforosa è la più utilizzata e si trova conservata in bombole di diverse dimensioni alla pressione di 3 atmosfere a temperatura ambiente. Ricordiamo che a queste condizioni l’anidride solforosa gassosa si trova allo stato liquido.

L’SO2 viene normalmente usata in questa forma grazie ai notevoli vantaggi:

purezza, costo contenuto, facilità di misurarla in piccole quantità con i solfitometri, resa doppia rispetto al metabisolfito di potassio, non introduce nel vino ulteriori sostanze.

Gli svantaggi dell’anidride solforosa liquida sono:

perdite di prodotto che si verificano durante la somministrazione, difficoltà di distribuirla in modo uniforme nel mosto o vino all’interno dei serbatoi, pericolosità nell’utilizzo. Metabisolfito di potassio svantaggi

Il metabisolfito di potassio (K2S2O5) è la forma più utilizzata per distribuire l’SO2 in forma solida e se ne trova in 55% di concentrazione (ossia 1 gr di metabisolfito di potassio apporta 0.55 gr di anidride solforosa). In commercio si può trovare sotto varie forme:

metabisolfito di potassio effervescente granulare, metabisolfito di potassio in pastiglie effervescenti, metabisolfito di potassio in polvere, soluzioni potassiche in soluzione.

Anche se apparentemente il metabisolfito di potassio ha alcuni vantaggi rispetto all’SO2 come la facilità di utilizzo e la ridotta pericolosità, di contro si porta dietro notevoli svantaggi che vengono amplificati se invece si utilizza l’anidride solforosa con intelligenza e con determinati accorgimenti.

Svantaggi del metabisolfito di potassio:

aggiunta di potassio, cali dell’acidità fissa per la formazione di bitartrato di potassio insolubile, costi superiori rispetto all’anidride solforosa, necessità di pesare il prodotto prima dell’utilizzo e poca precisione, in soluzione è difficile da gestire a causa dell’elevata densità, distribuzione non uniforme del prodotto durante l’utilizzo, rende difficoltosa la desolfitazione, difficile conservazione.

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L’anidride solforosa (SO2) è un componente chimico tra i più utilizzati in enologia grazie alle sue proprietà stabilizzanti, antisettiche, antiossidanti, chiarificanti e conservanti. In pratica la possiamo definire il coltellino svizzero dell’enologia grazie ai suoi molteplici utilizzi.

Nonostante i notevoli effetti positivi, è un componente che va usato con estrema cautela, considerato gli effetti negativi che può avere sia sulla salute umana e sia sulle proprietà organolettiche del vino. Comunque, anche se se ne cerchi di moderare l’uso per avere vini più sani e per strizzare l’occhio all’anima biologica del vino, non si sono ancora trovati sostituti di questo componente in grado di avere tutti i suoi effetti positivi e i relativi pochi effetti negativi, tanto che in enologia l’utilizzo dell’anidride solforosa è considerato praticamente indispensabile.

Cosa è l’anidride solforosa

L’anidride solforosa, la cui formula chimica è SO2, è un gas incolore classificato come “solfuro” e codificato dall’Unione Europea con la sigla E220.

Nel vino la possiamo trovare presente sotto diverse forme sia libera (solforosa molecolare, ione bisolfito e ione solfito) e sia combinata con alcuni composti del vino. La somma delle due forme genera la solforosa totale.

L’uso dell’anidride solforosa in enologia

Anidride solforosa in cantina

L’anidride solforosa trova grande impiego in tutte le fasi della produzione del vino. Ricordandoci sempre che una parte di questo componente lo troveremo in forma libera e una parte in forma combinata con alcuni componenti del vino (acidi, zuccheri ed antociani). Gran parte dei seguenti effetti positivi saranno dovuti alla parte libera:

antisettico, antiossidante, stabilizzante, selettivo, solvente, chiarificante.

L’anidride solforosa ha una proprietà antisettica contro i batteri e contro i lieviti e ne evita il loro sviluppo incontrollato.

L’anidride solforosa previene l’ossidazione di alcuni componenti del vino come le sostanze coloranti, aromatiche, fenoliche e alcoliche. Il rischio di ossidazioni è molto alto in tutti i processi di produzione del vino sin da quando il grappolo viene colto dalla pianta e portato in cantina per le successive lavorazioni. La probabilità di ossidazione aumenta ogni volta che si compiono le dovute lavorazioni sia sul mosto e sia sul vino come passaggi, filtrazioni e travasi e anche durante il periodo di affinamento del vino.

L’attività stabilizzante dell’anidride solforosa è di vitale importanza per la corretta conservazione del vino. Viene usata anche sul mosto per ritardare la fermentazione e per chiarificare il prodotto facendo decadere le parti solide più pesanti.

L’anidride solforosa svolge anche un’azione selettiva nei confronti dei lieviti. Infatti alcuni lieviti che producono sostanze non utili alla qualità organolettica del vino sono molto sensibili ai suoi effetti mentre i lieviti “buoni” risultano più resistenti.

L’anidride solforosa è utile per estrarre alcune sostanze, come coloranti, tannini e acidi presenti nelle bucce dell’uva. Durante la macerazione del mosto queste sostanze si solubilizzano e rimangono in soluzione.

Molto utile è anche la sua azione chiarificante facendo precipitare le sostanze colloidali che si trovano nel mosto e nel vino.

Anche se viene ampiamente utilizzata in enologia, l’anidride solforosa va utilizzata e maneggiata con molta attenzione in quanto la sua inalazione in dosi eccessive può provocare irritazioni, emicranie e morte. Per questo motivo bisogna adottare tutte le precauzioni possibili quando viene usata nelle diverse fasi della produzione del vino.

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